UNE
Giulio Gigli, classe 1987, ha un curriculum che parla da solo: dalle cucine de Il Pagliaccio (due stelle Michelin) di Roma al 1947 Le Cheval Blanc di Yannick Alléno al Benu (tre stelle) di San Francisco fino, soprattutto, al Disfrutar di Barcellona, quinto tra i migliori ristoranti al mondo secondo la prestigiosa classifica 50 Best. Quattro anni qui, come Responsabile della creatività, fino alla pandemia. Il ristorante chiude, c’è il tempo di fermarsi, fare il punto sulla propria vita. E rovesciare il tavolo. «Ho deciso di tornare a casa, a Foligno dove sono nato – ci spiega – per cercare un posto in cui tornare a sentirmi a casa». Camminando per i boschi con Lucile Kopczynski, sua compagna e responsabile della parte gestionale di Une, scovano un vecchio mulino del 1600: «eravamo a Capodacqua di Foligno, borgo di duecento anime, accanto alla sorgente che, per secoli, ha portato l’acqua a mulini e frantoi tipici della zona e che oggi continua a rimpinzare l’acquedotto di Foligno» continua lo chef. Eccola la casa per far nascere e crescere UNE, ristorante di fine dining che in soli quattro mesi dall’apertura ha guadagnato le ambite due Forchette e il premio speciale Rapporto Qualità Prezzo del Gambero Rosso.
La cucina umbra più autentica, i suoi ingredienti più tipici e paradossalmente ignorati dal resto della ristorazione locale, si rincorrono tra le portate, rispettosamente vestiti a festa con le più raffinate tecniche di cucina apprese da Gigli in giro per il mondo. Tra antipasti e primi si accomodano i legumi antichi, di cui l’Umbria vanta la maggiore biodiversità in Italia: i ceci neri si fanno aperitivo in un cannolo croccante di hummus, yogurt e menta, per tornare poi insieme a cicerchia, roveja e “fagioli al burro” (i fagiolini, non colti e lasciati maturare sulla pianta) sotto forma di condimento gourmet per un piatto di umbricelli (la tipica pasta fresca locale, nomen omen).
Re della festa, l’aglione, “l’aglio del bacio” come lo chiamano qui: è privo di allicina, ci spiega lo chef, e quindi non punge né permane in bocca. Gigli lo fa sfilare confit in total white: su un letto di ajo blanco (una specie di gazpacho freddo tipico della cucina catalana, fatto con aglio, mandorle, olio e aceto di sambuco), con appuntato sul petto il suo fiore in conserva. I secondi sono un omaggio ai pranzi della domenica in Umbria: maiale nero, trote di fiume (Gigli spera di allevarne presto in proprio) e piccione accompagnato dalla “giardiniera della nonna” (a Foligno, ripieno, la religione dei pranzi della domenica d’inverno), ma vestite di sapori e spezie che, esaltandoli senza snaturarli, strizzano l’occhio all’oriente (con salse satay, zenzero e arachidi).
Mentre, dall’antipasto al dolce, i territori che intravedi dalle finestre finiscono nei piatti: dalla tigella calda con blu di capra e gelèè di trebbiano spoletino con cui lo chef ti accoglie alla malva, spinaci selvatici e funghi che lo chef coglie personalmente per il suo piatto di gnocchi, alla patata rossa “spreco zero” di Colfiorito che Gigli tratta come fosse un pezzo di carne recuperandone addirittura la pelle, alle mele antiche e nocciole dei boschi circostanti che colorano il dolce e croccante rosone finale. Tutto scorre dentro Une, tranne il tempo, che piacevolmente, per il tempo di una cena, sembra fermarsi.
L’ACCIUGA
Un bosco in fondo al mare? Può capitare da L’Acciuga a Perugia, unica nuova stella Michelin in Umbria (accanto agli storici riconfermati Casa Vissani a Baschi e Vespasia a Norcia), il ristorante di Luca Caputo e Simone Farinelli (i due giovani imprenditori già alla guida della catena Il Testone) dove niente è come sembra. A cominciare dal luogo scelto: la periferia della città, tra capannoni industriali, distributori di benzina e vecchi magazzini. Sei lontano dal centro storico, dalla Perugia da cartolina fatta di chiese medievali, viuzze in salita e panorami sulla valle. Eppure, varcata la soglia, sei di nuovo a casa. Tra tavoli in legno grezzo, credenze vintage, lampade di design, stile nordico per ceramiche, libri e centrotavola, un’atmosfera calda e luminosa ti avvolge e ti sorprende. Proprio come il menù: con un nome così, ti aspetteresti una cucina di pesce – peraltro insolita per un territorio lontano dal mare come quello umbro – e, invece, trovi in carta tre primi, tre secondi e tre dolci, indicati con il solo nome degli ingredienti. In ciascuna proposta, un piatto veg, uno a base di carne e uno di pesce.
“E allora eccole finalmente queste acciughe” pensi addentando l’amuse bouche: delle striscioline brunite, carnose, sapide che ti vengono servite per prime, insieme al benvenuto dello chef (un maritozzo salato alla ricotta, omaggio ai dolci ripieni di panna montata a mano con cui i perugini amano fare colazione). Per scoprire poco dopo che ancora una volta “quello che credevi non è” come direbbe l’Alice di Lewis Carrol: sono carote candite, lavorate per 20 giorni e trasformate secondo un’antica ricetta del territorio.
«Argentee e fulminee, le acciughe si muovono veloci, stupendo chi hanno davanti. Anche a noi piace sorprendere i nostri ospiti» racconta sorridendo lo chef Lagrimino, classe 1985, passato dalle cucine del Nobu, del Dinner di Heston Blumenthal e del Modern Pantry di Londra prima di rientrare in Italia. «Il piccolo pesce che dà il nome al ristorante è, piuttosto, emblema della nostra attenzione al dettaglio, alla materia prima, alla stagionalità. L’acciuga è un pesce povero, ma ricco in qualità e sapore: è quello che voglio ottenere ogni giorno quando, dopo aver fatto il giro dei produttori, allaccio il grembiule per mettermi ai fornelli». È un pesce controcorrente: e qui dentro capita che, nuotando, finisca in fondo a un bosco. Come nel nuovissimo menù d’autunno, i cui protagonisti assoluti sono il cavolfiore grigliato su burro e aceto con crumble di mandorle, cremoso alla mandorla e castelmagno di pecora e i funghi cardoncelli con glassa ai porcini, pannacotta salata con terra ai funghi porcini (a base di noci, mirtilli, olio di noci), zucca marinata in agrodolce e isoppo.
O nella Castagna, il dolce con cui la pastry chef Sara Giovagnotti, in squadra da settembre 2021, fa assaggiare ai commensali “il mare dell’Umbria”. «Il nostro mare sono i boschi – ci spiega – e ho creato una mousse alla castagna con un cuore di cremoso mediterraneo (con bergamotto semicandito, menta, succo di limone gelatinizzato), su un biscuit di farina di castagne completato con vermicelli di marroni e cognac».
Ad accompagnare i piatti dei menù degustazione (4-5-7 portate a 40-50-60 euro) e le proposte alla carta, una cantina fornitissima: oltre 500 etichette, per lo più naturali, e un’ampia scelta di cocktail e shrub (uno sciroppo a base di frutta, zucchero e aceto) preparati in casa con distillati, erbe e frutta dei boschi umbri.
Un’Acciuga coraggiosa, insomma, che non ha paura di addentrarsi tra le profondità. Che siano dei mari, dei boschi umbri o delle Stelle Michelin