Cucinare può essere un atto politico? E, ancora di più, scrivere di cucina può assumere le forme della resistenza? Sono queste le domande che attraversano le pagine di “Zaitoun. Ricette e storie della cucina palestinese” della scrittrice e attivista politica Yasmin Khan, edito da Guido Tommasi. Una vita, la sua, divisa a metà tra l’impegno civile e l’amore per il buon cibo, che si traduce nel voler raccontare la vita delle persone incontrate nei suoi numerosi viaggi. E la vita, come sempre, è strettamente legata a quello che mangiamo. Il filo che lega tutto il suo lavoro, come leggiamo, è la convinzione che le persone abbiano molte più cose in comune rispetto a quelle che le dividono. E, in questo senso, si intuisce, come possa essere stata una sfida per lei occuparsi della Palestina e della sua cucina. Innanzitutto, perché c’è da chiedersi cosa sia attualmente la cucina palestinese.
Di fatto, dal mandato britannico del 1948, non esiste un paese chiamato Palestina. Questo però non sembra aver intaccato l’identità nazionale e oggi, a causa della diaspora, ritroviamo elementi di cucina palestinese ovunque, da oriente a occidente. Come dichiarato già nel titolo, quello che abbiamo tra le mani è un libro di ricette sì, ma anche un contenitore di storie. E non potrebbe essere altrimenti. È la stessa autrice ad ammettere il proprio disagio quando trovandosi a intervistare un abitante di Gerusalemme si è sentita dire che solo attraverso la cucina avrebbe potuto avere una visione romantica della loro vita lì, ma di come quella non fosse la realtà. Non si può parlare del cibo palestinese senza citare l’Occupazione, le limitazioni per l’acqua, l’impossibilità di muoversi in libertà, i posti di blocco. Non si tratta solo di politica ma di come questo stato di cose influenzi lo stesso modo di mangiare in quei luoghi. Si pensi al pesce, ad esempio, la tradizione ittica è fortemente impoverita dalle limitazioni israeliane. Ai pescatori è concesso pescare solo in un’area ristretta e spesso le acque sono inquinate a causa delle strutture fognarie danneggiate per via del conflitto. In una situazione del genere procurarsi del pesce di buona qualità diventa un’impresa.
La cucina palestinese si è quindi adattata a queste sfide, mantenendo dei capisaldi che la contraddistinguono in maniera peculiare. Le olive, zaiotun in arabo, che danno il titolo al libro, sono alla base della cucina palestinese e l’olio extravergine d’oliva è il condimento principale. Verde e pungente, tanto da risultare quasi piccante, è l’olio a decidere il tono di un piatto e le famiglie palestinesi ne hanno sempre bottiglie di diverse qualità a disposizione. Anche lo yogurt è un alimento base ed è sempre presente in tavola in forme diverse, al naturale o scolato per ottenere una crema densa e acidula chiamata labneh. Emblematico è poi lo za’atar, una varietà di timo selvatico che dà il nome anche a un mix di spezie in cui il timo si mescola al sommacco e ai semi di sesamo e, unito all’olio, dà vita a un condimento che si usa praticamente su tutto. Scopriamo che esistono tre principali varietà regionali di cucina palestinese, che appartengono rispettivamente alla Galilea, alla Cisgiordania e alla Striscia di Gaza, ognuna con delle specifiche peculiarità che tengono sempre conto della stagionalità, utilizzano delle cotture semplici e hanno verdure e legumi alla base di gran parte dei piatti. Il cibo della Galilea fa un uso sfrenato dei mazzeh, che potremmo definire una sorta di degustazione di antipasti, in cui una dozzina di piatti viene servita contemporaneamente sulla tavola e i commensali vengono invitati a servirsi quando e quanto vogliono. Nei mazzeh, melanzane, ceci, asparagi, peperoni e carciofi la fanno da padrone. In Cisgiordania troveremo invece molte più pietanze a base di carne come il mansaf, un ricco stufato di agnello servito con una crema di latte fermentato o il mussakhan a base di pollo, cipolle caramellate e sommacco. La cucina forse più particolare è quella propria della Striscia di Gaza ma è anche quella che rischia di scomparire prima a causa del conflitto e della devastante crisi alimentare che costringe i suoi abitanti agli aiuti alimentari dell’Onu. In questo contesto è difficile immaginare la sopravvivenza dei suoi tratti distintivi: l’abbondante uso di aneto fresco, di peperoncini verdi e la predilezione per il pesce e i frutti di mare come piatti principali.
L’elemento comune a tutte le tradizioni culinarie è comunque il calore e l’ospitalità, elementi tipici della cucina mediorientale e che riecheggia nella voglia di condivisione del cibo, che è sempre un atto collettivo, e nella formula di benvenuto, ahlan wa sahlan, “possa tu arrivare come membro della famiglia e che tu abbia un cammino facile nell’entrare”.
Tra tutte le ricette presenti nel testo, che sono divise in mezzeh, insalate, zuppe, piatti principali e dessert e che vengono anche divise in dei piccoli menù pronti all’uso, Natale o Pasqua ad esempio, noi abbiamo scelto di replicare il piatto più emblematico della cucina palestinese, presente su tutte le tavole e universalmente conosciuto: l’hummus. I palestinesi lo mangiano soprattutto a colazione, condito con ceci acidulati al limone e servito con spesse fette di pomodoro. L’abbiamo accompagnato al pane arabo, morbido e consistente, che viene utilizzato quasi come un utensile per servirsi delle varie pietanze.
HUMMUS – Ingredienti
250 g. di ceci secchi
1 cucchiaini di bicarbonato di sodio
3 spicchi d’aglio schiacciati
90 ml di succo di limone
180 g. di tahina
½ cucchiaino di cumino macinato
1 pizzico di sale
4 cubetti di ghiaccio
Olio evo e paprica per servire
PROCEDIMENTO
Mettete in ammollo i ceci per una notte. Scolate i ceci, versateli in una pentola con il bicarbonato e ricopriteli d’acqua. Lasciate cuocere a fuoco lento per un’oretta, eliminando di tanto in tanto la schiuma in eccesso. Una volta cotti, frullateli insieme alla tahina, al succo di limone, al cumino e al sale. Quando il composto sarà omogeneo unite il ghiaccio e frullate ancora fino a ottenere un composto spumoso. Lasciare riposare un’oretta prima di servire l’hummus cosparso di paprica e olio.
PANE ARABO – Ingredienti
250 g. di farina tipo 0
½ panetto di lievito di birra
½ cucchiaino di zucchero
1 cucchiaino di sale
160 ml di acqua tiepida
1 cucchiaio di olio evo
PROCEDIMENTO
Mettete la farina, il lievito, lo zucchero, il sale in una ciotola e aggiungere metà dell’acqua e metà dell’olio. Cominciare a mescolare e poi trasferire su una superficie infarinata. Unire i restanti liquidi e impastare per una decina di minuti finché l’impasto non risulterà morbido ed elastico. Mettete l’impasto in una grande ciotola e cospargetelo con dell’olio. Lasciate lievitare per circa un’ora, poi tagliatelo in 6 palline uguali. Stendete la pasta con un mattarello formando dei dischi spessi circa 5 mm. Coprite con un canovaccio pulito e lasciate lievitare altri 15 minuti.
Adagiate i dischi di pane su delle teglie ricoperte di carta forno.
Preriscaldate il forno al massimo e poi infornate per 3-5 minuti. Servite il prima possibile.