“Hazana” in ebraico moderno significa nutrimento inteso non solo come cibo ma in senso lato, come occasione di incontro e come momento di introspezione attraverso la pratica del digiuno, elemento essenziale nella cultura ebraica. È anche il titolo di un saggio di cucina ebraica vegetariana, scritto da Paola Gavin (ed edito da Atlante).
Sfogliando le pagine, piene di splendide illustrazioni e fotografie, ci si trova immersi nei salotti viennesi che, a cavallo tra Otto e Novecento, accoglievano intellettuali come Arnold Schönberg, Gustav Mahler e Sigmund Freud. O a Berlino dove, a causa delle rigide norme dietetiche imposte dalla loro religione, gli ebrei si dedicarano prevalentemente alla produzione alimentare, diventando fornai, contadini, viticoltori, produttori di verdure sott’aceto e conserve, imprimendo una forte direzione alla tradizione culinaria tedesca; e così in Grecia, Turchia, Francia, Tunisia, Romania, Spagna e Portogallo, fino ad arrivare in Italia, dove la cucina ebraica si è mescolata alle usanze regionali in un connubio che ritroviamo quotidianamente sulle nostre tavole.
Furono gli ebrei a insegnare agli italiani a mangiare le melanzane, fino ad allora considerate non commestibili (mela insana). La cucina dei ghetti italiani, in cui gli ebrei erano confinati, variava da città a città e così a Trieste spopolavano gli gnocchi e la verza, a Venezia il risotto con le verdure, di cui il risi e bisi è il principale discendente, mentre a Roma vennero introdotte le verdure alla giudìa, i conosciutissimi carciofi, il fritto misto e le pizze ebraiche, sorta di torte salate farcite con carciofi, piselli e bietole.
Il vegetarianesimo è conseguenza delle molte interdizioni religiose, come ad esempio il precetto che proibisce il consumo di carne e latte nello stesso pasto oppure il divieto di svolgere molte attività, tra cui cucinare, durante lo Shabbat, il riposo settimanale del sabato, cosa che ha spinto gli ebrei a ideare pietanze che fossero buone anche se preparate il giorno prima, cosa per la quale le verdure si prestavano in modo particolare.
“Hazana” non è un semplice ricettario, ma un vero e proprio manuale che, a partire dalle ricorrenze e dai precetti ebraici, analizza i legami che la tradizione culinaria ebraica ha intessuto con i molti Paesi in cui gli ebrei si sono trovati a vivere a seguito della diaspora. Le ricette sono tantissime, per la gran parte veloci da cucinare, dall’antipasto al dolce, con una sezione dedicata alle uova, considerate simbolo di fertilità e per questo donate alle giovani spose durante le nozze oppure consumate dopo i funerali, per convincersi che dopo tutto la vita va avanti. Tra le ricette proposte, noi abbiamo deciso di provare una minestra originaria del Marocco, adatta a questo periodo di primi freddi autunnali. Si tratta di una zuppa di lenticchie e riso molto speziata con la quale si usa rompere il digiuno dello Yom Kippur, la festività più solenne dell’anno.
Zuppa di lenticchie e riso dello Yom Kippur (Harira de Hippur)
Ingredienti per 4 persone: 200 g di lenticchie secche, 4 cucchiai di burro chiarificato, 2 cipolle, 2 spicchi d’aglio, 2 gambi di sedano con le foglie, 1 cucchiaino di coriandolo in polvere, mezzo cucchiaino di curcuma, mezzo cucchiaino di zafferano in pistilli, 500 g di pomodori maturi, 80 g di riso a chicco lungo, sale e pepe nero macinato al momento, 1 cucchiaio e mezzo di farina, 1 limone, 2 cucchiai di prezzemolo tritato, 2 cucchiai di coriandolo fresco tritato.
Procedimento:
Come prima cosa mettete in ammollo le lenticchie per un paio d’ore, quindi scolatele e dedicatevi alle altre verdure. Tritate finemente la cipolla, l’aglio e il sedano. Spellate i pomodori (se dovesse risultare difficile, incidete leggermente la pelle e sbollentateli per qualche minuto) e riduceteli in purea nel passaverdure. Se non trovate pomodori di stagione andrà bene anche un barattolo di polpa. In una pentola capiente scaldate il burro (noi abbiamo preferito l’olio evo) e unite le verdure tritate e la polpa di pomodoro. Stemperate lo zafferano in poca acqua calda e aggiungetela al sugo assieme al coriandolo e alla curcuma. Unite le lenticchie, un litro di acqua calda e lasciate cuocere per circa mezz’ora. Aggiungete, a questo punto il riso e aggiustate di sale e pepe. A cottura quasi ultimata del riso unite la farina che avrete stemperato in una tazzina d’acqua fredda e lasciate addensare qualche minuto. Spegnete la fiamma, completate col succo di mezzo limone e le erbe aromatiche e servite subito.