Che nel buio l’unica cosa relativamente chiara sia l’ennesima scesa in campo di Silvio Berlusconi la dice lunga su come è messa la partita del Quirinale a sette giorni dalla prima votazione. Peraltro si tratta di una fiammella che può anche spegnersi presto, o al massimo dopo le prime quattro votazioni. Per il resto, veti incrociati, dubbi, antipatie, doppi giochi.
Ogni scelta porta le sue controindicazioni. I suoi punti deboli. Persino il nome più forte, quello di Mario Draghi, rischia di far ruzzolare l’Italia nel burrone del non governo – governicchio o elezioni, o tutt’e due – per di più in un anno cruciale: si fanno scenari su un eventuale nuovo governo ma nessuno sa ipotizzare con chiarezza chi ne sarebbe la guida. L’Europa ci guarda con enorme preoccupazione.
Immaginare lo scenario peggiore rientra tra i compiti dei politici e degli osservatori. Per evitarlo. Ecco dunque spiegata la ragione per la quale le quotazioni di una nuova elezione di Sergio Mattarella non decrescono, tutt’altro, malgrado le ben note argomentazioni a contrario portate dallo stesso capo dello Stato. È innanzi tutto sbagliato pensare al Mattarella bis come a un mandato di breve periodo, e non solo per una questione di riguardo personale e istituzionale, ma soprattutto per una ragione politica: come ha scritto Marco Damilano sull’ultimo numero dell’Espresso un nuovo mandato a Mattarella dovrebbe essere conferito «non solo in nome dell’emergenza ma anche per una ragione di sistema: per cambiare il sistema e non lasciarlo così com’è». Un secondo mandato dunque non tanto per evitare il burrone ma per dare impulso a quella stagione riformatrice in campo istituzionale che questa legislatura ha totalmente eluso, a meno che non si voglia considerare il taglio del numero dei parlamentari una riforma e non un’ulteriore problema.
Ma di certo il rischio-burrone esiste e anzi sarebbe persino peggiore di quello del 2013, quando in Parlamento c’era una buona maggioranza di centrosinistra sfarinatasi per insipienza dei suoi dirigenti che portarono al macello prima Franco Marini e poi Romano Prodi e fu per questa ragione che fu rieletto Giorgio Napolitano che escludeva un suo bis e si infuriò poi con il Pd per il disastro che aveva combinato. Stavolta, come ha detto Enrico Letta, il Parlamento è «una somma di tante minoranze»: sembra una premessa forte per un’impasse micidiale.
E qui torniamo a Sergio Mattarella. Nell’importante discorso dell’11 novembre molto citato per il riferimento alla proposta di Giovanni Leone di escludere esplicitamente la possibilità di un secondo mandato, il presidente della Repubblica ha pronunciato una frase passata inosservata: «Nella vita di ogni comunità – e quella politica non fa eccezione – si manifestano momenti di difficoltà, di incomprensione, di stallo, in cui la nave sembra rifiutarsi di proseguire, le macchine paiono smettere di funzionare. Questo, naturalmente, applicato alla vicenda politica può portare a conseguenze imprevedibili». Siamo dunque alla presa in esame della possibilità di un default istituzionale ma anche morale attraverso parole che, pronunciate da un uomo che ha un altissimo senso dello Stato e della stabilità del sistema democratico, fanno riflettere: e se davvero «le macchine smettessero di funzionare»? Se cioè il sistema s’ingrippasse sotto il macigno della inadeguatezza della classe politica, quali potrebbero essere le «conseguenze imprevedibili»?
Difficile qui non scorgere il rovello che si agita nella coscienza del nostro presidente. Come ha scritto uno dei quirinalisti più attenti, Ugo Magri, il capo dello Stato sarebbe contrario a una rielezione anche se dovessero chiederglielo tutti ma – ecco la domanda cruciale – «se votazione dopo votazione lo stallo si trascinasse, se l’Italia si trovasse sull’orlo del caos, se l’emergenza dovesse richiedere un ultimo sacrificio per la tenuta delle istituzioni, come farebbe Mattarella a tirarsi indietro? Come potrebbe giustificare i suoi scrupoli?».
Nessun dubbio, veramente nessuno, sul fatto che questi scrupoli di ordine istituzionale siano nella mente del giurista Mattarella ben radicati. Ha ricordato due predecessori, grandi giuristi anche loro, Antonio Segni e Giovanni Leone, per motivare il “no” al doppio settennato: ma più per una ragione “di sistema” (la necessità di abolire il semestre bianco) più che per una preoccupazione legata a una sorta di “monarchizzazione” del presidente, teoricamente in carica per 14 anni, un tempo troppo lungo. Ci sono poi le ragioni di ordine personale nelle quali nessuno ha diritto di entrare che però potrebbero incrociare o scontrarsi con la ragion di Stato. E in questo quadro non sarebbe impossibile che lo “scrupolo” lasciasse il passo alla necessità di salvare il sistema democratico, in vista, come si è detto, di un ruolo attivo del Quirinale per riformare il sistema stesso, a partire da una nuova legge elettorale in senso proporzionale. Se fosse in gioco la democrazia, Mattarella – ma questa è una nostra convinzione – non si tirerebbe indietro.
La maggior parte del Partito democratico è su questa linea prima ancora che si aprano danze che potrebbero risultare fallimentari. «Sarebbe il massimo», si è lasciato sfuggire Letta alludendo al bis di Mattarella che egli per ora non sollecita, com’è giusto che sia, ma che tiene come asso nella manica.
Ma la novità davvero eclatante, un coup de théâtre in piena regola, potrebbe venire dalla destra. Non da Matteo Salvini, che vi si accoderebbe, ma da un Silvio Berlusconi trafitto dal voto segreto e in cerca di rapidissima resurrezione: e quale migliore via per recuperare dignità politica se non la sponsorizzazione della rielezione di Sergio Mattarella al Quirinale, che oltretutto eviterebbe fastidiose candidature che potrebbero risultare più forti della sua, onde poter dire “o io o nessuno”?
I Cinquestelle sarebbero felici e così la stragrande maggioranza dei parlamentari che non desiderano certo il ritorno alle urne. Sarebbe un esito davvero sorprendente. Ma non certo il peggiore che può augurarsi l’Italia.