Si avvicina la scadenza del voto per la presidenza della Repubblica e i diversi schieramenti stanno definendo le proprie posizioni. Per il momento in campo c’è una sola candidatura nominativa ed è quella di Silvio Berlusconi.
Il centro destra è almeno ufficialmente schierato in modo unitario dietro questa proposta. A dire il vero le dichiarazioni dei capi partito non sono sempre allineate sul nome perché spesso prevale l’indicazione di questioni di metodo e queste rendono evidente che la candidatura di un leader di partito non permette di trovare un accordo unitario, né di portare a posizione unitaria la maggioranza che sostiene il governo Draghi.
Lo schieramento di centrosinistra è apparentemente più fermo nel cercare una posizione di metodo prima di arrivare ai nomi. Vero è che tutti i giorni c’è bisogno di un incontro di chiarimento fra Enrico Letta e Giuseppe Conte per confermarsi che terranno la linea di procedere assieme. Ma è tanta l’enfasi sul campo largo che passa obbligatoriamente per l’accordo fra Movimento cinque stelle e Partito democratico e poi non si sa con chi allargarlo, tranne che tenere un posto per D’Alema e i suoi congiunti, che ci si dimentica che la nave issa bandiera gialla e rossa per indicare non la salvezza ma un uomo in mare.
Ed è quello che è successo nella prima Regione importante dove si sono votati i delegati alla partecipazione al voto per la presidenza della Repubblica. La Lombardia ha deciso che, oltre ai due delegati espressione della maggioranza, a rappresentare la minoranza ci sarà un consigliere dei Cinquestelle e non il capogruppo del Pd.
Il campo largo mostra crepe che non trovano spiegazione solo nella incapacità di costruzione dei rapporti politici da parte del gruppo regionale Pd. E non è nemmeno una scorrettezza della maggioranza nei confronti del principale partito di opposizione.
Pare che il risultato sia il frutto della insipienza del Pd che avrebbe chiesto i voti indispensabili alla Lega ma si sia dimenticato di fare un accordo con tutte le forze della minoranza. Così la base del campo largo si è sciolta ed è diventato un assist facile facile per chi sa come funzionano le assemblee elettive.
Il bipopulismo funziona così e non può essere riportato a una coscienza comune, a un sentimento repubblicano unitario se non si va al fondo dei contenuti e alla indicazione di un orizzonte comune.
Il Pd non sa cosa vuole e non sa con chi. Parlare a vanvera di nuove alleanze e di spazi politici che esistono solo nella fantasia di chi è stato troppo all’estero porta a questi bagni di realtà.
Possiamo solo sperare che ex malo bonum. Per chi è convinto come noi che non c’è oggi nessuna capacità nei due schieramenti per una unitaria assunzione di responsabilità si apre la possibile speranza perché vada a fondo un bipolarismo populista e si apra lo spazio per la ripresa della politica capace di parlare al paese.