Inutile negarlo, le città sono più vuote del solito e per solito intendiamo che abitualmente a gennaio, dopo la sbornia delle festività, la vita ha sempre subìto un rallentamento, le attività, in particolare i pubblici esercizi, chiudevano per concedere meritate ferie a titolari e dipendenti, i clienti riprendevano fiato e dedicavano la propria attenzione e i consumi all’abbigliamento in saldo.
Invece, non è più “come al solito”, la situazione che stiamo attraversando con la somma di diversi fattori sta avendo come conseguenza che questo gennaio 2022 sia diverso da tutti quelli precedenti, tralasciando il 2021 di per sé anomalo perché vigevano regole più limitanti (ricordate il coprifuoco e la chiusura obbligata dei ristoranti che dalle 22:00 potevano solo fare asporto?).
Oggi, fin dal mattino, pur nel classico traffico di ingresso a scuola dei ragazzi, seppur anch’esso diminuito per un’organizzazione oraria più flessibile e per le quarantene alle quali molte famiglie sono obbligate a sottostare, c’è molta meno gente in giro. Così succede un po’ per tutta la giornata, si viaggia meglio, si trova parcheggio, sui mezzi pubblici ci si siede. I momenti di picco che trasmettono questa strana sensazione di assenza sono, però, la pausa pranzo e l’uscita serale dal lavoro, con le conseguenti azioni alle quali si era abituati, shopping, aperitivo, cena, dopo cena.
L’allarme è già stato lanciato dal Presidente di Confcommercio Sangalli, la diminuzione è tangibile e preoccupante, la gente non mangia fuori, non compra, semplicemente non c’è. Il silenzio o meglio la mancanza dei tipici rumori della città è evidente già dopo le 22:00, quasi fosse stato reintrodotto il coprifuoco.
Cosa sta producendo questa situazione è facile da capire, ma, forse, non ce lo si aspettava e questo agita molti. Nonostante la maggioranza della popolazione possa permettersi qualsiasi attività, pur con qualche limitazione, come per esempio gli stadi a capienza ridotta o le discoteche ancora chiuse, essendo comunque basso il numero di persone che non hanno il certificato verde valido, sembra strano registrare così poca gente in giro. Certamente nelle ultime settimane hanno contato il gran numero di contagi con conseguenti quarantene incrociate, di clienti, ma anche di addetti della ristorazione che, se costretti in casa perché positivi, seppur asintomatici e/o leggermente costipati, determinavano la chiusura dei locali non essendoci abbastanza personale.
Ad alimentare questo cortocircuito si aggiunge la reintroduzione del lavoro da remoto che toglie letteralmente le persone di strada, perché, se in autunno e fino a Natale si notava un aumento esponenziale di auto, perché quasi tutti, lavorando in presenza, preferivano spostarsi con mezzo proprio, oggi, senza pendolari e con i cittadini a lavora da casa, strade e mezzi di trasporto sono vuoti.
Infine, innegabile, c’è anche una sorta di diffidenza che ciascuno di noi, pur potendo, ha nella frequentazione di locali al chiuso, perché sappiamo bene che il contagio è sempre possibile, seppur senza postumi gravi per chi è vaccinato, ciò che infastidirebbe di più è se, successivamente a un’uscita a cena si risultasse positivi, si dovesse rimanere chiusi in casa con conseguenze negative per tante categorie di lavoratori. Senza contare che, oltre alla possibilità di contagio tra vaccinati, non si può sapere se un cameriere o cuoco lo sia con il pensiero in più dei rischi che correrebbe se lo infettassimo. Insomma, comprensibile che i locali fatichino a riempirsi.
Questa la fotografia del momento, una situazione certamente preoccupante per molte attività, che, a essere ottimisti, a breve, con l’abbassamento della curva dei contagi e della pressione sugli ospedali, nonché con la bella stagione, è destinata a cambiare in meglio, garantendo una Pasqua molto diversa da quella precedente e una stagione di lavoro buona per tanti.
Tuttavia è proprio su questo punto che vogliamo riflettere, andando al di là del momento pandemico che stiamo attraversando, perché, seppur sia atteso il passaggio a una fase sanitaria endemica che ci vedrebbe convivere con la presenza del Covid, così come di tanti altri virus mai spariti, ma resi più innocui dalla scienza, quello a cui potremmo assistere è una fase endemica applicata al mondo del lavoro. Cosa ben più grave della sorpresa per un temporaneo stop che stiamo osservando, infatti, quello che sta succedendo, non per tutte le imprese, ma certamente per molte, è che, l’aver scoperto l’opportunità di mantenere i lavoratori presso le proprie abitazioni, sta facendo balenare a imprenditori e amministratori la possibilità di una vantaggiosa riduzione dei costi che potrebbe rivelarsi strutturale. Meno dipendenti in ufficio, meno spazi da pagare, meno spese di trasporto da riconoscere, ecc.. il tutto, tra l’altro, a fronte di un’efficienza pari se non maggiore da parte dei lavoratori, i quali, peraltro, rischiano di subire una nuova forma di sfruttamento mascherato dall’apparente beneficio di stare a casa.
Conseguenze di un’eventuale scelta definitiva in questa direzione? Disastrose sul piano economico, sociale per le persone e per le loro numerose attività commerciali, uno scenario che stravolgerebbe il panorama professionale al quale siamo abituati, perché all’assenza dei lavoratori e della loro domanda di consumi corrisponderebbe un cambiamento radicale dell’offerta con inevitabile calo dell’occupazione a medio lungo termine nei settori commerciali dei servizi alla persona che, per rimodellarsi, avranno bisogno di tanto tempo.
Pensiamo, dunque, che il mondo del lavoro tutto, sindacati, imprese, governo, debba sedersi oggi al tavolo, superando rapidamente tutte le schermaglie sulle quali si sta perdendo tempo prezioso quali lo studio dei ristori su cui non c’è da pensare, ma da agire, discutendo, invece, da subito, del futuro prossimo che potrebbe essere molto negativo per molti lavoratori, sia quelli costretti a lavorare da casa, sia quelli che a casa ci rimarrebbero per la perdita del posto.
Se non si fa una riflessione approfondita su tutto ciò, il rischio al quale andiamo incontro è di un endemico lockdown.