L’imboscata gialloverdeSolo Mattarella può portare ordine dopo lo tsunami quirinalizio

Pasticciaccio di Matteo Salvini con colpo di scena su Belloni e conseguente pasticciaccio di Letta. Ma questo carnage tra i partiti è destinato a sconquassare gli equilibri di governo

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Maurizio Ferrara, leggendario direttore dell’Unità nella seconda metà degli anni Sessanta, spesso tornava la sera a casa sconsolato: «Anche oggi ho fatto il solito titolo: “Scoppiano le contraddizioni nella Democrazia Cristiana”»). Esattamente ciò che in questi giorni capita a tutti i giornalisti. Ci pare di scrivere sempre lo stesso articolo: fumata nera, si tratta, divisioni tra i partiti.

D’inedito ieri è emersa la ribellione di mezzo Parlamento che nello scrutinio del pomeriggio ha deposto nell’urna ben 336 voti per Sergio Mattarella, un urlo liberatorio contro la stagnazione di questi giorni, un atto carbonaro che sottintende lo sgomento di tanti parlamentari per lo spettacolo di votazioni a vuoto e indica una via, quella della richiesta la più larga possibile all’attuale Capo dello Stato di un nuovo settennato. Impresa tutt’altro che facile, per la nota e motivata ritrosia del Presidente ma anche per la freddezza dei capi della destra (e anche per lo scetticismo di Enrico Letta).

Ma la questione-Mattarella è ormai ufficialmente posta. Sta a chi non è d’accordo prospettare un’altra strada. Ma i leader pasticciano, tendono a sgambettarsi: una scena mai vista. Clamorosa. Ecco il fattaccio. Ieri sera un Letta un po’ sciupato ha detto che «finalmente ci parliamo», perché effettivamente le quattro-cinque persone che guidano le danze hanno parlato finora lingue diverse che nemmeno sotto la Torre di Babele. Pochi minuti dopo è uscito Matteo Salvini dicendo che sta cercando «una donna in gamba» e il nome di tutti è andato a Elisabetta Belloni, attualmente a capo dei servizi segreti e universalmente stimata nel mondo politico e istituzionale, nome che era già uscito martedì scorso e poi silurato anche da pezzi diversi del Partito democratico, e accolto con ostilità da Matteo Renzi e Forza Italia.

E puntualmente in serata il problema si è riproposto.

Il capo di Italia viva si è scatenato: «Non può essere Capo dello Stato il capo dei servizi». E anzi il Pd faceva sapere che nel vertice con Salvini e Conte non si era deciso nulla su «una donna». Insomma, un’altra imboscata gialloverde. E infatti a benedirla è uscito Beppe Grillo, ovviamente in asse con Giuseppe Conte: «Benvenuta signora Italia, ti aspettavamo da tempo». Un endorsement che inquieta. Anche i calendiani la voterebbero. Invece Nel Pd si prevede una baraonda, in serata si parlava di decine di parlamentari dem contrari alla Belloni: per Letta è un altro bel guaio.

Vedremo oggi se nella notte Belloni ha resistito o si è inabissata. Resta sempre sullo sfondo Mario Draghi, un po’ il Fantomas di tutta questa storia, invisibile, introvabile, entrato e uscito mille volte nel borsino quirinalizio, ma sono in tanti a ritenere che sarebbe meglio che il governo andasse avanti – sarebbe una buona notizia – e anzi è possibile che lo sfilacciamento dei partiti potrebbe rafforzare ulteriormente la figura del presidente del Consiglio al quale né il pasticcione Salvini né altri paiono in condizioni d’impartire ordini.

A un’altra donna, anche lei Elisabetta peraltro, è andata sicuramente malissimo: Elisabetta Casellati, mandata in pista a scornarsi contro la realtà dei numeri, ma le è andata anche peggio delle peggiori previsioni (solo 382 voti) scontando un centinaio di franchi tiratori – forse esattamente 101 come Prodi -, una scelta che ha squassato i già fragili sistemi nervosi dei leader del centrodestra e che segnala una crisi non effimera di questa coalizione. Casellati esce di scena ammaccata anche nella sua identità di presidente del Senato e non si è capito bene se sia sacrificata per il bene della coalizione o per vanagloria personale.

Ma il punto politico è che nella destra non ci si fida l’uno dell’altro, con Forza Italia che ormai è sempre più distante dal duo sovranista Salvini-Meloni, ovviamente in guerra tra di loro, dentro un carnage (la citazione del film di Polanski che avevamo fatto giorni fa non si è rivelata sbagliata) che segna il discrimine tra un prima e un dopo, un turning point venato d’incertezza e d’insipienza che imporrà un chiarimento non semplice.

Ma anche nel centrosinistra qualcosina sarà da rivedere, date le incertezze manifestate in vari passaggi (in fondo da lì non è venuto nemmeno un nome preferendo una logica puramente di catenaccio) e il non precisamente idilliaco rapporto tra Pd e Giuseppe Conte, che ha parlato anch’egli di una donna presidente urlando ai giornalisti che il Movimento 5 stelle, ormai diviso in tribù, «domani sarà il gruppo più compatto di tutti».

Quello che vogliamo dire è che lo tsunami quirinalizio lascerà tracce sui corpi esangui dei partiti e sugli incerti equilibri delle cosiddette coalizioni e potrà rimodellare la geografia politica: Conte e Salvini sono ritornati a fare asse (anche se Di Maio non è d’accordo) premessa per un nuovo giro di valzer in costume gialloverde, e per converso – l’abbiamo già scritto – Matteo Renzi si riavvicina al Pd, o meglio, nei momenti difficili il Pd parla con Renzi. Appena eletto il Presidente – e se non si chiude subito le conseguenze potrebbero essere imprevedibili – prepariamoci a raccontare le convulsioni dei partiti e forse il ridisegno della geografia politica. E questo in una stagione difficilissima segnata dalla contraddizione tra la gravità dei problemi e la debolezza della politica. Sulla carta Belloni ha i numeri, più di 600.

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