Rendere obbligatorio il vaccino per tutti, non solo per i lavoratori. È la proposta di Maurizio Landini, segretario generale della Cgil, che in un’intervista a Repubblica giudica «insufficiente» l’obbligatorietà limitata a chi va in fabbrica o in ufficio che il premier Mario Draghi vorrebbe approvare nel consiglio dei ministri del 5 gennaio. «Serve un atto di responsabilità da parte del governo», dice Landini. Proprio mentre nel governo Lega e Movimento Cinque stelle continuano a dirsi contrari alla soluzione del Green Pass rafforzato per lavorare.
Landini ricorda che dal mese di agosto il sindacato chiede l’obbligo vaccinale per tutti. «La recrudescenza del virus impone al governo un’assunzione di responsabilità. Accanto alla quale va avviata un’iniziativa pubblica di informazione, coinvolgendo tutti i soggetti interessati. Non ci sono alternative al vaccino». Il virus, spiega, «riguarda tutti. I luoghi di lavoro, grazie ai protocolli che abbiamo firmato con il governo e le aziende, non sono risultati focolai della trasmissione del virus. Anzi: la trasmissione avviene fuori dai posti di lavoro, sui mezzi di trasporto pubblici, nei luoghi affollati».
Per Landini, è «un atto necessario anche per richiamare a una responsabilità collettiva tutte le persone». La nostra Costituzione «prevede che si possa fare purché lo stabilisca la legge. In ogni caso proprio per questo parlo di responsabilità collettiva. Oggi la tutela della salute dipende dalla responsabilità collettiva. Dunque la tutela del diritto della salute di tutti è la condizione per essere liberi».
Il leader sindacale, dopo aver difeso la scelta dello sciopero generale del 16 dicembre con la Uil («È stato uno sciopero importante e riuscito perché ha dato voce e rappresentanza al malessere sociale che c’è nel Paese»), poi rilancia su altri due fronti. Chiede al governo di «cancellare» con una legge «tutte le forme di lavoro precario ingiustificato, dal lavoro a chiamata alle finte partite Iva, e sostituirle con un unico contratto di ingresso al lavoro fondato sulla formazione e che punti alla stabilità del rapporto di lavoro». E poi di definire una politica industriale per accompagnare il settore dell’automotive verso la transizione dal motore termico all’elettrificazione e all’idrogeno. «Tutti i nostri competitori europei hanno definito le strategie per il passaggio all’elettrico e all’idrogeno. E noi? In Francia e in Germania lo Stato è anche azionista dei gruppi automobilistici».
Il rischio, spiega, «è di perdere pezzi importanti del sistema industriale, ad esempio quello della componentistica, che è stato ed è un settore di qualità della nostra manifattura. Il ruolo dello Stato è decisivo anche con l’ingresso nell’azionariato di Stellantis». Da noi, dice, «si pone il problema di garantire l’attuale capacità produttiva, fino a un milione e mezzo di auto all’anno, delle nostre fabbriche ma anche quello della sopravvivenza di un settore importante come quello della componentistica, dove si assiste o alla delocalizzazione della produzione o alla sostituzione della produzione con investimenti in altri Paesi». E sul fronte energetico, Landini dice no al nucleare: «Questo è il momento di scegliere e deve farlo il governo, immaginando politiche di sistema, non affidando ai grandi gruppi le politiche energetiche. Così rischiamo di difenderci e resistere su vecchie tecnologie. Dobbiamo puntare alle rinnovabili per renderci autonomi nell’approvvigionamento».