La qualità pagaLa riforma della Rai e il modello Bbc cui puntare

Per non soccombere alla concorrenza degli altri grandi player internazionali, la televisione pubblica deve evadere dallo status quo e lasciarsi alle spalle le logiche individualiste per proporsi invece come volano culturale dell’intero ecosistema audiovisivo

LaPresse

Le grandi piattaforme internazionali dell’audiovisivo guadagnano terreno sempre più velocemente, e l’elaborazione di risposte convincenti diventa sempre più urgente. La riforma Rai in discussione questi giorni deve rapidamente sfornare proposte capaci di trasformare il servizio pubblico da semplice azienda a motore capace di far crescere ed evolvere l’intero ecosistema audiovisivo. 

La Rai non naviga in acque tranquille: la concorrenza con i grandi player internazionali, con quelle piattaforme che possono investire miliardi di euro nei contenuti, è serrata; la corsa all’innovazione viaggia veloce e le modalità di fruizione del pubblico stanno cambiando rapidamente. 

Per restare al passo con i tempi e mantenere competitività, la TV pubblica deve ricollocarsi, evadere dallo status quo e lasciarsi alle spalle le logiche individualiste per proporsi invece come volano culturale dell’intero ecosistema audiovisivo. Due le linee d’azione: dare priorità al prodotto invece che al produttore e costruire una rete sistemica instaurando rapporti continuativi con il mondo della produzione esterna. 

A oggi, si parla tanto di numeri: per quanto si tenti di trovare un equilibrio quantitativo però, non esiste un numero magico, ossia non è sui numeri che si gioca la partita, ma sul livello qualitativo dei contenuti. Il prodotto è re. E proprio per non rimanere inermi si deve investire sul prodotto, la Rai in primis. 

Peccato che non tutti siano d’accordo. Spesso si guarda al produttore senza misurare i costi, la qualità e l’efficienza del processo in termini oggettivi, quanto piuttosto lasciandosi guidare dai pregiudizi verso le grandi case di produzione, che inquinano le valutazioni favorendo i piccoli player italiani, spesso legati – in modo più o meno trasparente – alle personalità del mondo televisivo. 

Per competere però sullo scenario nazionale e internazionale queste logiche devono essere abbandonate: la Rai deve rifocalizzarsi sulla qualità e avviare seri rapporti di partnership con validi produttori esterni. Rivalutare, ad esempio, i meccanismi di cessione e acquisizione della proprietà intellettuale, ridefinire la divisione dei ricavi e soprattutto mettere in atto un’operazione trasparenza, che valuti i costi effettivi delle produzioni interne rispetto a quelle esterne, in modo da mettere in atto scelte consapevoli, senza tralasciare il tema della pubblicità. 

Se è vero che liberare la Rai dalla pubblicità sarebbe la scelta più saggia, oggi la TV pubblica non riuscirebbe a sostenersi senza. Insomma, una Rai a pubblicità zero dovrebbe ripensare totalmente l’attuale struttura o l’entità del canone, ancora tra i più bassi d’Europa. 

In sintesi, bisognerebbe considerare gli altri player dell’ecosistema partner e non avversari e creare insieme a loro un network capace di competere sul mercato globale. A chi guardare? 

Il modello giusto è la Bbc: una televisione pubblica efficiente, equa e trasparente, senza pubblicità, il partner con cui tutti i produttori firmerebbero un contratto a occhi chiusi. Quello che, iniziando da questa riforma, deve diventare anche la Rai.

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