Due osservatori di diversa estrazione, lo studioso di scienza politica Mauro Calise sul Mattino e il direttore di Milano Finanza Roberto Sommella, per descrivere l’essenza del discorso di giuramento di Sergio Mattarella hanno adoperato la stessa espressione: «Forza tranquilla». Volendo sottolineare, di quel discorso, la capacità del Presidente di parlare a tutto il Paese mettendo per così dire ordine in un’agenda politico-istituzionale quanto mai complessa, un ruolo che più che di arbitro sembrerebbe di regista forte e tranquillo della nuova fase (il «dopo pandemia»), senza peraltro che questo autorizzi a parlare di semipresidenzialismo de facto.
Curiosamente la stessa espressione che fece la fortuna di François Mitterrand inventata nel 1981 dal famoso pubblicitario Jacques Séguéla, amico di Jacques Prevert e di Salvador Dalì, è stata recentemente anche accostata al Partito democratico di Enrico Letta, il quale in un anno di direzione del partito, ha in effetti lavorato per superare certi tic nervosi e un clima di perenne agitazione interna, e con buoni risultati.
D’altronde siamo (saremmo) entrati in una fase diversa del rapporto tra società civile e società politica nella quale l’aggressività antipolitica (si veda il crollo d’immagine del grillismo) sembra lasciare il passo a una voglia di normalità che del resto è esattamente la cifra psicologica di queste settimane in relazione alla auspicata uscita dalla pandemia.
Persino il Sanremo di Amadeus si accende di luci e fa grandi ascolti interpretando questo change italiano che mescola speranza e concretezza: e, tra parentesi, la telefonata del Capo dello Stato al direttore-presentatore del Festival è a suo modo un simbolo di questa sintonia.
È vero che, come sempre, esistono le eccezioni – in questo caso il populismo di destra-destra di Giorgia Meloni – ma si tratta appunto di eccezioni: il quadro politico, stressato da tre anni di bizantinismi, voli pindarici, colpi di testa, insipienze e voltafaccia, si sta assestando lungo la direttrice psicologica e politica di Sergio Mattarella e Mario Draghi (ahimé, solo per un anno), basata su un’idea non distruttiva e appunto relativamente tranquilla della lotta politica.
Tutto questo va bene a Enrico Letta, che dovrebbe essere il primo a beneficiare di questo nuovo clima. Con un centrodestra in crisi di nervi e il Movimento 5 stelle in crisi depressiva per il Pd si apre uno spazio potenzialmente enorme che, a quanto pare, intende coprire con una rinnovata soggettività (la scelta del proporzionale ben si attaglia a questo obiettivo), a patto però che non si confonda forza tranquilla con forza noiosa.
Un conto è il Presidente della Repubblica è anche il capo del governo, un altro è un partito politico. Qui non ci vuole tanto tranquillità ma al contrario un dinamismo che stenta a venir fuori. Il rischio di una navigazione sotto costa, di un basso profilo, del prevalere della tattica sulla strategia, esiste perché è nel Dna di un partito che appunto da sempre oscilla tra nevrosi e catalessi e che da anni guarda più all’oggi che al domani.
Letta insomma deve inventarsi qualcosa che colpisca l’opinione pubblica, che acceleri non la costruzione di un fantomatico Nuovo Ulivo che non esiste in natura ma quella di un moderno partito riformista di governo puntando così a una percentuale decente (ne è tuttora lontano) che gli consenta di “dare le carte” dopo le elezioni politiche.
E lo deve fare da subito, senza illudersi di potersi sedere sugli allori di un’elezione presidenziale che gli è andata bene più per demerito altrui che per merito proprio. Organizzi un grande appuntamento nazionale (un Congresso?) che parli al Paese più delle semiclandestine Agorà, apra le porte del suo partito a esponenti nuovi, s’inventi efficaci messaggi comunicativi, non perda tempo a guardarsi l’ombelico occupandosi di gestire brandelli di potere e di piazzare i suoi nel sottobosco della politica, provi a stabilire un serio rapporto con il centro riformista laddove Matteo Renzi e altri si muovono e lasci andare Giuseppe Conte alla sua deriva, riprenda il rapporto con i giovani e gli studenti, rimetta al centro la questione del lavoro nel mondo che cambia.
Offra quella visione capace di fare i conti con una società che ha fame di progetti. Abbiamo citato Mitterrand. Si potrebbe fare altri nomi. La grande politica: è per forza una roba del passato o un’utopia nebulosa? E come si pensa di recuperare i voti di milioni di persone che non vanno più a votare, senza un progetto forte che sinceramente non si vede?
Quindi faccia politica nel Paese, intercetti la voglia di fare e di inventare che si librerà nel dopo pandemia. Non sia noioso, il Pd, ché alle urne mancano pochi mesi e sic stantibus rebus la vittoria è ancora un miraggio.