L’intervista a Repubblica di Peppe Provenzano, vicesegretario del Partito democratico, chiude per sempre la strampalata linea dell’alleanza strategica con il Movimento 5 stelle perché il sistema proporzionale rilanciato dall’esponente dem non solo libera le mani di tutti i partiti ma implica una competizione dura proprio con il partito che ti sta più vicino, nel caso del Pd appunto il M5s.
Trattandosi di una formazione (non si può chiamare Movimento, ma nemmeno partito) in piena crisi e probabilmente, quando sarà terminato nel sangue lo scontro tra Giuseppe Conte e Luigi Di Maio, ulteriormente a pezzi, è naturale che con il proporzionale il Pd sarebbe indotto a piombare come un falco sulla carcassa grillina: è da lì che può prendere molti voti, ed è infatti dal serbatoio pentastellato che in questi ultimi tempi il partito di Letta ha potuto abbeverarsi, come dimostra la relativa crescita nei sondaggi.
L’alleanza strategica con Grillo, la linea in auge nel grigio periodo zingarettiano durante il quale il teorico di riferimento era Goffredo Bettini, non ha mai dato buoni frutti e nemmeno si può dire che sia stata una linea realmente praticata (basti guardare alle varie tornate amministrative), non è mai stata vissuta nel Paese, nel dibattito pubblico, nella coscienza dei militanti dem che al massimo l’hanno considerata una necessità per essere competitivi alle elezioni.
Ma con il proporzionale fatto proprio dal Nazareno (a meno che il prodiano Letta non intenda abbarbicarsi al sogno maggioritarista, ormai abbandonato anche da chi lo condivise e lo alimentò) non ci sarà più la camicia di forza dell’alleanza preventiva: chi è più bravo prenderà più voti. E più voti si conquisteranno più si sarà capaci di guidare le danze dopo il voto: questa è la funzione che il gruppo dirigente del Pd va assegnandosi, quella di costruire non un’alleanza strategica ma un’intesa di governo a partire dalla propria supremazia elettorale, quindi democraticamente stabilita.
Sotto questo aspetto ancora Provenzano non ha torto quando osserva che «la vocazione maggioritaria si può perseguire meglio con una legge che spinge i partiti a puntare su se stessi, sul proprio profilo identitario». In fondo siamo sempre lì, alla costruzione di un grande partito-nazione (era l’obiettivo di Walter Veltroni, teorizzato da Alfredo Reichlin e in termini più contraddittori da Matteo Renzi), il cui primo obiettivo non può che essere quello della distruzione dell’antipolitica e dei suoi vessilliferi.
L’obiezione è nota: ma se ci sbraniamo tra di noi come faremo ad allearsi dopo il voto? Domanda ingenua. Per decenni i socialisti hanno cercato di togliere voti ai comunisti, e viceversa: questo non impedì di governare insieme per decenni città e regioni e la divisione nazionale tra loro non era certo dovuta alla competizione elettorale ma a ragioni molto più complesse.
Si chiude, speriamo, la lunga stagione del Lego politico nella quale, come nel gioco che piace ai bambini, a un pezzo si attacca un altro pezzo, poi un altro e così via: purtroppo in Italia il concetto di coalizione è stato solo declinato così, bambinescamente: alla lunga non ha retto.
Inoltre, con il ritorno del proporzionale tornerebbe in auge una pratica politica fatte di organizzazione, territorio, comizi e porta a porta, laddove in questi lunghi anni tutto è stato veicolato da tv e social: e questa sarebbe una buona notizia per i partiti ancora minimamente vitali come il Pd e pessima per chi come il M5s non esiste in natura ma solo nei vasti e malmostosi stati d’animi di pezzi di Paese.
Con l’alleanza strategica va in soffitta tutto l’armamentario peraltro di scarso valore retorico, da «Conte punto di riferimento fortissimo dei progressisti», persino «federatore», alla formula del Nuovo Ulivo, triste conato di remake di un’esperienza vincente; e persino il Campo largo coniato da Enrico Letta con il proporzionale non avrà più senso, se non come prefigurazione astratta di una futura coalizione di governo.
Dopo le inequivoche parole di Provenzano, sarebbe bene che il Pd sin da adesso cominciasse a fare i conti con questa novità: l’amico di ieri sta per diventare l’avversario di domani.