Da Tangentopoli a PedofilopoliI Torquemada all’amatriciana e il clericalismo populista ammantato di modernità

La sete di giustizialismo ha sempre rischiato di portare il popolo italiano a processi sommari che somigliano a vendette. Bisogna evitare che i mondi che si desidera ripulire finiscano per sbriciolarsi da dentro, come è successo per la politica

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La gogna in mondovisione cui il Papa emerito è stato sottoposto, culminata nell’addolorata lettera di scuse e discolpa di Benedetto XIV, sembra confermare che la “Pedofilopoli” che travolge la Chiesa e che ha investito le diocesi di tutto il mondo è una sorta di Tangentopoli sessuale, un’operazione di potere travestita da opera di pulizia.

Un’operazione che nasce dentro, non fuori il sistema del potere clericale – non nella libera opinione, non nella fantomatica società civile – come Tangentopoli nacque dentro e non contro quel coacervo di poteri politico-giudiziari indivisi, che il precipitare della Prima Repubblica portò al tutti contro tutti, alla ricerca di una nuova e moralissima primazia popolare.

Non che non esista lo sporco all’interno della Chiesa, come la corruzione esisteva di certo all’interno della politica, e che i campioni della rivoluzione togata usarono come predellino per innalzarsi visibili davanti al popolo plaudente, eccitato dal gusto della vendetta.

È che nell’uno e nell’altro caso, quando la richiesta di legalità instaura un sistema di giustizia sommaria, più adeguata alle urgenze della rivoluzione – nella politica allora, nella Chiesa ora – al male si aggiunge semplicemente altro male e non se ne estingue neppure un’oncia.

La storica e diffusa tolleranza nei confronti degli abusi contro i minori, non solo nella Chiesa, ma nell’intera società, diventa oggi l’alibi per una giustizia ridotta a decimazione, un colpire in un mucchio che si dà per scontato contenga un mucchio di colpevoli – forse tutti.

È lo stesso meccanismo usato rispetto alla corruzione politica, che portò alla conclusione che in realtà non ci fossero innocenti, ma solo colpevoli che non erano ancora stati scoperti. Le colpe, peraltro, in questo schema non vanno dimostrate perché sono sempre presupposte e vanno semplicemente associate a un colpevole. I politici sono corrotti o complici dei corrotti. I preti sono pedofili o insabbiatori degli abusi. E i colpevoli migliori non sono quelli più indiziati, ma quelli più succulenti.

In questo caso il colpevole perfetto è Ratzinger, che al vertice della Chiesa universale, prima da Prefetto dell’ex Sant’Uffizio e poi da Pontefice, aveva ricondotto il dilagare degli abusi nella Chiesa alla secolarizzazione del costume sessuale e in particolare alla tolleranza verso l’omosessualità.

Insomma, la pedofilia come effetto collaterale del ’68. Un’analisi storicamente e culturalmente grottesca, che tentava difensivamente di ricacciare il peso dell’accusa nel campo degli accusatori, cioè i fautori di una Chiesa modernista e pure disponibile a mettere in discussione il tabù del celibato ecclesiastico. È Ratzinger nel 2005 a decretare il divieto dell’ordinazione sacerdotale per gli omosessuali, (accettato e ribadito da Bergoglio) e ad accreditare l’equiparazione morale e psichiatrica tra omosessualità e pedofilia.

È Ratzinger a negare che la tolleranza per l’abuso verso minori impuberi era particolarmente diffusa proprio nella famiglia e nella società tradizionale e che solo il sovvertimento culturale di quei mondi chiusi ha consentito di riconoscere nei bambini degli autonomi portatori di diritti e non delle mere propaggini incompiute del mondo degli adulti.

Ora contro Ratzinger viene ritorta la violenza di un pregiudizio ideologico uguale e contrario. La Chiesa – ecco il teorema colpevolisticamente capovolto – non è minacciata dall’esterno dagli iconoclasti della cosiddetta sessualità naturale, ma è occupata dall’interno da un’organizzazione di pedofili, che finisce per coincidere con essa. Basta leggere l’intervista dell’accusatore di Ratzinger che chiede di processare il Papa emerito e i vertici della Chiesa tedesca per crimini contro l’umanità.

In questa guerra senza esclusione di colpi in nome delle vittime innocenti, la prima vittima è lo stato di diritto. Proprio come accadde in Italia ai tempi di Tangentopoli. Ratzinger non poteva non sapere che il sacerdote giunto nella sua diocesi fosse un abusatore. Non sono i suoi accusatori a dovere provare che ne fosse a conoscenza, ma lui a dovere dimostrare il contrario. Se Ratzinger ha dimenticato di avere partecipato a una riunione tenutasi quarant’anni prima, ha qualcosa da nascondere. Se Ratzinger si è dimesso da Pontefice all’inizio dell’indagine sulla pedofilia nella Chiesa tedesca questo dimostra la sua corresponsabilità negli abusi.

Conosciamo benissimo in Italia questo repertorio di dicerie, deduzioni e sospetti eletti ad anticamere della verità e sappiamo benissimo dove porta: alla rovina sia della giustizia che della politica. E non c’è dubbio che, così proseguendo, i Torquemada dell’inquisizione antipedofila porteranno anche alla rovina della Chiesa e al trionfo di un clericalismo populista ammantato di modernità.

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