Comma M5S La sentenza di Napoli su Conte e il rischio del diritto penale totale

La magistratura civile che entra nel merito di un regolamento congressuale è un abominio. Nei partiti sono già operativi ordinamenti che gestiscono la propria vita interna con forme di giurisdizione autonoma. Vogliamo davvero che il confronto politico interno sia condotto nelle aule giudiziarie?

LaPresse

Potrei cavarmela ricorrendo alla saggezza contenuta in un proverbio: chi la fa l’aspetti. Anzi, potrei persino compiacermi della decapitazione per via giudiziaria del vertice del Movimento 5 Stelle, proprio perché quel movimento è nato e cresciuto da una costola della magistratura deviata. Ma sarebbe una manifestazione del medesimo istinto dei polli di Renzo Tramaglino, ché di natura è frutto ogni loro vaghezza.

Invece è venuto il momento di resistere, resistere, resistere. E di cominciare a reagire, anche se è un avversario ad aver subito l’abuso della sospensiva delle cariche, creando così problemi per l’azione di uno dei poteri fondamentali dello Stato, essendo il primo partito (già scombinato di suo) presente nell’attuale assetto politico ora privato di una guida che possa svolgere il ruolo di interlocutore nelle decisioni da assumere, nell’interesse del Paese.

Quest’anno ricorre il trentesimo anniversario di Tangentopoli, l’inchiesta che ha dato il via alla Grande Purga di quella parte della classe politica che aveva governato – con alterne vicende – dal dopoguerra fino ad allora. Da quel momento le forze politiche – che avevano ricevuto il potere per via giudiziaria – si sono messe al servizio delle procure garantendosi così la possibilità di tenere sotto scacco gli avversari (verso i quali si era indirizzata la nuova offensiva togata) continuando la lotta politica su quel terreno.

I partiti, poi, sono arrivati persino a soffrire della sindrome di Stoccolma, anticipando le mosse dei loro aguzzini. Praticamente si sono suicidati: rinunciando alle guarentigie costituzionali per i rappresentanti del popolo; privandosi volontariamente del finanziamento pubblico e delle risorse necessarie per fare politica; abbandonando a se stesse le persone inquisite (vi sono stati casi clamorosi per la loro testimonianza di viltà). E hanno spalancato, in questo modo, le porte alle scorribande delle procure di cui ricordiamo le campagne che si sono susseguite per un lungo periodo contro gli amministratori locali e regionali (le cosiddette spese pazze), i manager pubblici e le fondazioni dei partiti.

In sostanza la politica – per sua stessa volontà – si trova alla mercé di una sorta di comma 22: una norma in base alla quale un aviatore che cerca in tutti i modi di evitare le missioni spacciandosi addirittura per pazzo, non può considerarsi pazzo in quanto è razionalmente giusto aver paura per la propria vita e sicurezza; al contrario potrebbe essere dichiarato pazzo se volesse affrontare le missioni spontaneamente.

Ai partiti viene consentito di ricevere finanziamenti da privati purché sia conformi a regole di trasparenza. Capita però che le procure si riservino il diritto di giudicare il loro corretto utilizzo o la presenza di una forma indiretta di corruttela o di altri illeciti. Insomma, ne abbiamo viste di tutti i colori, anche se, per fortuna, la magistratura giudicante – magari dopo anni – smonta i teoremi costruiti dalle procure. Vi sono casi però di una gravità assoluta come quelli della trattativa Stato/Mafia o, più recentemente, del processo sulla presunta corruzione internazionale Eni/Nigeria.

Non era ancora capitato, però, di assistere a una vicenda nella quale è la magistratura civile a entrare nel merito di un regolamento congressuale: perché di questo si è trattato nella sentenza del tribunale di Napoli. Chi ha fatto esperienze di vita associativa sa che, nel momento delle verifiche interne per la scelta della linea di azione e l’elezione dei gruppi dirigenti, la gestione delle iscrizioni è un passaggio fondamentale, proprio per evitare le campagne di iscrizioni fasulle al solo scopo di consentire ai leader e alle correnti di aumentare la loro influenza, facendo valere tessere di anime morte.

Una delle misure più ragionevoli che si adottano in tali eventi è quella di porre un limite temporale alle iscrizioni con diritto di voto. Poi siamo tutti troppo scafati per non conoscere le manovre che si compiono prima e durante i congressi, non solo quelli delle associazioni di fatto (come sono i partiti e i sindacati e tante altre organizzazioni della vita civile), ma anche in enti dotati di personalità giuridica o nelle società di capitali.

Ovviamente non tutte le situazioni sono uguali. Ma in una libera associazione (ex articolo 36 e seguenti del codice civile) come i partiti sono operativi ordinamenti (senza scomodare le teorie di Santi Romano) che gestiscono la propria vita interna con forme di giurisdizione autonoma. Pensiamo, per esempio, alla parte disciplinare degli Statuti: se un iscritto viene espulso o radiato per questioni ritenute attinenti al suo comportamento o alle sue convinzioni in contrasto con i valori e la linea del partito, può appellarsi al giudice ordinario per valutare la conformità della sanzione dei collegi dei probiviri o degli organi interni di garanzia?

Ammettiamone anche la possibilità teorica, ma il buon senso dovrebbe avere il posto che gli spetta nella vita quotidiana. Ce lo immaginiamo un confronto politico interno ai partiti condotto nelle aule giudiziarie, fino a quando la sentenza non passa in giudicato? Nel frattempo spetterebbe al tribunale nominare un commissario giudiziale?

Vogliamo arrivare al punto in cui un segretario uscente, criticato dagli oppositori interni per gli errori nella direzione del partito, li accusa di diffamazione e li querela? Considerando proprio il prorompere di una volontà di fare giustizia – presunta – nella vita delle persone e delle comunità (Filippo Sgubbi lo ha definito il «diritto penale totale») io sono totalmente contrario all’idea, a mio avviso peregrina e penitente, di dare applicazione (non prevista) all’articolo 49 della Costituzione: «Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale».

La Carta non richiama, in questo caso, l’esigenza di una legge ordinaria attuativa. Dove lo ritiene opportuno non esita a scriverlo come, per esempio, nell’articolo 39 riguardante l’organizzazione sindacale (i sindacati si sono guardati bene – in via di fatto – dal chiederne l’attuazione); nell’articolo 40 sul diritto di sciopero; nell’anacronistico comma 2 dell’articolo 41; nell’articolo 98 sulle limitazioni al diritto d’iscriversi ai partiti politici per i magistrati, i militari di carriera in servizio attivo, i funzionari e agenti di polizia, i rappresentanti diplomatici e consolari all’estero. Per come è formulato, l’articolo 49 non lascia dubbi: vi è incluso tutto ciò che serve. 

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