La sostenibilità sociale rappresenta una grande sfida nella società contemporanea, un banco di prova cruciale nella costruzione del nostro domani. Mentre sulla sostenibilità ambientale e sulla sostenibilità il dibattito è aperto da anni ed esiste da tempo un’ampia letteratura, la sostenibilità sociale solo di recente ha conquistato il centro della scena. Un momento chiave è certamente stato il settembre 2015, quando – all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite – i Paesi in tutto il mondo hanno firmato l’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile, sottoscrivendo i suoi 17 Obiettivi (Sdg). Gli Sdg, insieme all’accordo di Parigi sui cambiamenti climatici, rappresentano il quadro di riferimento internazionale in materia di Sviluppo sostenibile, da un punto di vista economico, ambientale e, per l’appunto, sociale.
L’Agenda 2030 prefigura un futuro senza povertà, con ampio accesso ad un lavoro dignitoso, alla sanità e all’educazione per tutti, preservando l’ambiente del pianeta, definendo degli “obiettivi universali, ambiziosi, globali, indivisibili e interconnessi, mirati a sradicare la povertà, combattere le disuguaglianze e le discriminazioni crescenti, promuovere la prosperità, sostenibilità, responsabilità ambientale, inclusione sociale, uguaglianza di genere e rispetto per i diritti umani, garantendo la coesione economica, sociale e territoriale e rafforzando la pace e la sicurezza” (Parlamento Europeo, Annual strategic report on the implementation and delivery of the Sustainable Development Goals (Sdgs)).
I 17 obiettivi di sviluppo sono articolati in quattro blocchi: i) versante sociale; ii) versante economico; iii) versante governance iv) versante ambientale. Questi quattro pilastri dello sviluppo sostenibile hanno tutti pari dignità, non possono essere organizzati secondo una scala gerarchica: se manca uno di essi, crolla l’intero edificio.
Rappresentano degli obiettivi necessari e imprescindibili: condizioni di lavoro dignitose; uguaglianza di genere; pari, equa e dignitosa retribuzione; eliminazione di ogni discriminazione; eradicazione della povertà. Portando il discorso sul piano delle azioni concrete, occorre chiedersi quale è il ruolo delle Imprese in un simile contesto, quale contributo devono apportare le aziende dinanzi a sfide così alte e così ampie.
Il dibattito sul tema, a nostro giudizio, ha finora dato luogo a risposte soltanto parziali e largamente inadeguate. L’azione delle imprese sul terreno della sostenibilità sociale è stata prevalentemente declinata sul fronte interno, mediante iniziative indirizzate al benessere della propria comunità, dei propri manager, dei propri dipendenti.
Prendiamo ad esempio, a titolo squisitamente emblematico, il caso della Scuola Etica Leonardo, che si è fatta promotrice di un progetto assolutamente encomiabile e meritorio. La scuola, infatti, ha studiato un innovativo schema di certificazione Srg-Esg, rilasciata in Italia dall’ente di certificazione Accredia, attestante che un’organizzazione opera nel rispetto dei criteri dello standard Srg 88088:20 per la sostenibilità Esg.
Sul profilo della sostenibilità sociale, allo stato, il focus risulta indirizzato sulle condizioni che riguardano il mondo interno dell’azienda, dal punto di vista del benessere personale e lavorativo della propria comunità. La certificazione in esame, infatti, sul fronte Social guarda a tutti gli elementi afferenti al welfare e al benessere della persona, nell’ambito del lavoro e nella vita in generale.
Per dare ancora più forza e sostanza a questo concetto, lo standard Srg 88088 prevede la formalizzazione di un Team per la valutazione del benessere (Tvb) che – rappresentato da componenti dei lavoratori e del management interni all’azienda – opera proprio per elevare il grado di benessere dei lavoratori all’interno delle organizzazioni.
Si tratta di un approccio comune, rispetto al quale gli esempi da fare potrebbero essere numerosi, da considerare certamente positivo, ma per qualche verso insufficiente.
Le Imprese, infatti, nella società contemporanea, risultano dei player di primaria importanza, con un ruolo decisivo nella vita delle persone a tutto tondo: il loro apporto sul versante della Sostenibilità sociale non può limitarsi al proprio bacino interno, ma si deve riversare sull’intera realtà circostante.
Lo stesso concetto di Corporate Social Responsability necessita in qualche modo di una rivisitazione.
L’azienda non può più essere immaginata come una sorta di osservatore esterno della Società in cui vive, alla quale – secondo il principio anglosassone della Restituzione – concede indietro qualche graziosa liberalità: l’Impresa è oggi un soggetto protagonista del nostro mondo e come tale è chiamata all’assunzione di responsabilità piene e coinvolgenti.
Tradurre questi concetti in proposte operative, naturalmente, costituisce un compito complesso, che trascende le finalità di questo nostro breve scritto.
L’Italia, certamente, anche da questo punto di vista, ha la possibilità di assumere un ruolo importante e di diventare un modello di riferimento su scala internazionale.
Il nostro Paese, per riuscire in questo intento, può contare su una vera e propria stella polare, uno dei documenti di più elevato valore politico e culturale del Novecento: la Costituzione della Repubblica Italiana.
La nostra Carta Costituzionale recita all’Articolo 3, secondo comma: “E’ compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e la uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo ella persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”.
Siamo di fronte a parole fondamentali, ad una vera e propria architrave per gli assetti del nostro Paese, ad una delle disposizioni più moderne e qualificanti del panorama giuridico, politico ed istituzionale, a livello europeo ed internazionale.
Questa disposizione delinea e definisce in modo affatto peculiare i concetti di giustizia, libertà e uguaglianza, i quali devono informare la vita della nostra comunità in ogni suo ambito ed in qualsiasi tempo, incidendo in modo reale ed effettivo nel quotidiano di ogni cittadino. Si tratta di concetti al tempo stesso estremamente antichi e straordinariamente avanzati, propri di una grande scuola di pensiero, che ha condizionato in profondità le vicende storiche dell’Italia e dell’Europa.
Parliamo della tradizione del repubblicanesimo, che trova i suoi padri in maestri romani quali Cicerone, Sallustio e Livio, passando poi per i teorici dell’autogoverno comunale del Trecento e per gli scrittori politici del Rinascimento, con Niccolò Machiavelli sugli scudi, arrivando ai pensatori dell’Ottocento quali Giuseppe Mazzini e Carlo Cattaneo.
Significative, al riguardo, risultano le parole di Alcide De Gasperi, pronunciate – in qualità di Presidente del Consiglio – nella seduta dell’Assemblea Costituente del 22 dicembre 1947: «A distanza di cento anni mi giunge all’orecchio come l’eco del programma mazziniano, che suonava: “La Costituzione nazionale, raccolta a Roma, metropoli e città sacra della Nazione, dirà all’Italia e all’Europa il pensiero del Popolo e Dio benedirà il suo lavoro”. Valga questo auspicio anche per questa Assemblea del nuovo Risorgimento (…)”».
La nostra Costituzione è dunque portatrice di peculiari e specifiche idee per la Sostenibilità sociale, in termini di Libertà, Giustizia e Uguaglianza.
Maurizio Viroli ha scritto che «la vera libertà politica non consiste solo nell’assenza di interferenze (sulle azioni che gli individui desiderano compiere ed hanno la capacità di compiere) da parte di altri individui o di istituzioni (…). Essa consiste piuttosto nell’assenza di dominazione (o di dipendenza), intesa come la condizione dell’individuo che non dipende dalla volontà arbitraria di altri individui o di istituzioni che possono opprimerlo impunemente, se lo vogliono».
E che «l’uguaglianza repubblicana non comprende solo l’uguaglianza dei diritti civili e politici, ma afferma l’esigenza di garantire a tutti i cittadini le condizioni sociali, economiche e culturali che consentano a ciascuno di vivere la propria vita con la dignità e il rispetto di sé che sono propri della vita civile».
Per la nostra Costituzione, in buona sostanza, libertà, giustizia e uguaglianza convergono verso un obiettivo preciso e vincolante: la Repubblica assicura a tutti i cittadini – «senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali» – «il pieno sviluppo della persona umana».
Su queste fondamenta deve essere edificato un assetto economico e politico improntato ad un’autentica sostenibilità sociale.
Sulla scorta del dettato costituzionale, dunque, nel nostro Paese il concetto di Sostenibilità sociale è legato a doppio filo al «pieno sviluppo della persona» e si deve tradurre in interventi finalizzati a «rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale» che impediscono, per i cittadini, la piena realizzazione dei concetti di Libertà, Giustizia e Uguaglianza.
Naturalmente bisogna che queste idee non rappresentino mere petizioni di principio, vuoti simulacri, astratte espressioni intellettuali, ma è necessario che apportino veri cambiamenti nella vita delle persone, le quali nel quotidiano devono poterne vedere i risultati e goderne tangibilmente gli effetti, senza subalternità e condizionamenti.
Amartya Sen ha detto che la libertà «è irrimediabilmente delimitata e vincolata dai percorsi sociali, politici ed economici che ci sono consentiti»; sicché occorre «eliminare vari tipi di illibertà che lasciano agli uomini poche scelte e poche occasioni di agire secondo ragione”, perché ad ogni cittadino spetta «la libertà sostanziale di realizzare più combinazioni alternative di funzionamenti (o, detto in modo meno formale, di mettere in atto più stili di vita alternativi)», ovvero la libertà di dare luogo a «ciò che una persona può desiderare – in quanto gli dà valore – di fare, o di essere».
In una situazione di reale sostenibilità sociale, dunque, i concetti di libertà, giustizia e uguaglianza non sono mere enunciazioni, non consistono soltanto nell’essere portatori di una serie di diritti, ma corrispondono alla facoltà di poterli esercitare quotidianamente, senza essere soggetti all’arbitrio altrui, per vivere la vita che si sceglie per sé e per il pieno sviluppo della propria persona.
Per fare questo abbiamo la necessità apportare con rapidità innovazioni effettive e funzionanti nel nostro sistema economico e sociale, traducendo le parole in azioni, realizzando una situazione di concreta sostenibilità sociale, conferendo a termini astratti come “uguaglianza”, “libertà” e “giustizia” contenuti tangibilmente percepibili da ogni cittadino.
Non passa sicuramente inosservata la recente approvazione del disegno di legge che modifica la Costituzione, introducendo la tutela dell’ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni. Si tratta di un evento dai risvolti epocali: non stiamo parlando solo dell’inserimento delle tematiche ambientali tra i principi fondamentali della Repubblica ma si tratta anche di un passo necessario al perseguimento del benessere sociale, in linea con le nuove consapevolezze e l’accresciuta sensibilità sul riflesso che ambiente e biodiversità hanno sulla collettività e sullo sviluppo sociale di ogni singolo individuo, proiettandoci verso una nuova visione socioculturale.
Forse, questa poteva essere anche l’occasione per inserire in Costituzione il concetto di sviluppo sostenibile: «development that meets the needs of the present without compromising the needs of the future generations». È innegabile che accanto alla componente economica e quella ambientale ve ne sia una sociale che richiama in modo trasversale alla responsabilità intergenerazionale.
La Costituzione in questo scenario rappresenta, tuttavia, un saldo punto di riferimento, un faro che illumina il percorso della nostra comunità, la mappa che segna la rotta per coloro che hanno l’onere di guidare il Paese.
La Carta costituzionale, si badi bene, non è un immaginifico libro dei sogni, oppure un accattivante testo letterario, oppure un formativo compendio filosofico: la Costituzione è una legge a tutti gli effetti, la Legge delle Leggi, vigente e cogente. La Costituzione, quando traccia questi precetti, non delinea concetti eterei ed astratti, ma detta linee guida – di stampo politico e giuridico – di estrema forza e concretezza, che il legislatore ha l’obbligo di tradurre in misure effettive.
Il percorso verso una situazione di reale sostenibilità sociale, caratterizzato da effettive Innovazioni economiche e sociali, si deve dunque snodare intorno ad alcuni punti cardine: i) rimozione degli «ostacoli di ordine economico e sociale» che limitano «di fatto la libertà e la uguaglianza dei cittadini»; ii) interventi a supporto del «pieno sviluppo della persona umana»; iii) misure atte a garantire «l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese».
Anche il neoeletto presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, nel suo discorso di giuramento davanti al Parlamento ha sottolineato che «…affinché la modernità sorregga la qualità della vita e un modello sociale aperto, animato da libertà, diritti e solidarietà, è necessario assumere la lotta alle diseguaglianze e alle povertà come asse portante delle politiche pubbliche».
Le imprese sono chiamate, in questo contesto, a svolgere un ruolo da protagoniste. Le aziende italiane, d’altronde, vantano una importante tradizione in tema di attenzione al Sociale, di sensibilità e impegno nei confronti dell’intera Società.
Un punto di riferimento importante, anche in un simile ambito, restano l’opera e le parole di Adriano Olivetti, che immaginò – con sbalorditiva lungimiranza – un ruolo inedito per l’impresa: «La fabbrica non può guardare solo all’indice dei profitti. Deve distribuire ricchezza, cultura, servizi, democrazia».