105 gradi di escursione termicaL’impresa di due italiani per salvare la Siberia in fiamme

Stefano Gregoretti e Dino Lanzaretti hanno percorso 1200 chilometri a 60 sottozero per sensibilizzare sull’emergenza climatica che sta colpendo la regione russa, dove d’estate le temperature arrivano quasi a 40 gradi. Lo scorso anno, a causa di questo fenomeno, sono andati in fumo nove ettari di taiga

«Picchi coperti di nevi, roccie scarne, foreste secolari, valloni profondi, vette vergini, precipizii irti, torrenti sonori». Ferdinando Petruccelli della Gattina, considerato tra i precursori del giornalismo moderno, descriveva così la Siberia cent’anni fa. Tutto questo, però, oggi rischia di scomparire. Colpa del cambiamento climatico e dei suoi effetti devastanti sulla vasta regione russa. L’aumento dei gas serra sta innalzando in modo all’armante le temperature nell’area. La cittadina di Verkhoyansk, in particolare, l’estate scorsa ha toccato i 38 gradi centigradi, quando d’inverno può raggiungere i -67 gradi. L’immediata conseguenza sono stati roghi con fronti vastissimi che, nel solo 2021, si stima abbiano incenerito nove milioni di ettari di foresta boreale. 

Da qui, l’idea di due italiani, Stefano Gregoretti e Dino Lanzaretti, di attraversare la Siberia per sensibilizzare la collettività sulla crisi ambientale della regione. Ultrarunner e avventuriero il primo, alpinista e ciclista estremo il secondo, la coppia ha percorso in bicicletta i 1200 chilometri che separano Ojmjakon da Verchojansk, i due villaggi che si contendono il primato per il luogo abitato più freddo del mondo. La bici è stata scelta per due ragioni: la necessità di percorrere grandi distanze nel minor tempo possibile unita all’impatto ambientale nullo del mezzo. Terminata questa impresa, l’obiettivo è tornare l’estate e proseguire da Verchojansk fino a raggiungere l’Oceano Artico lungo il fiume Yena, remando lungo i 750 chilometri del corso d’acqua (che d’inverno è ghiacciato). È la missione Siberia 105°, dove il numero sta a indicare i gradi di escursione termica toccati nella zona tra il giorno più freddo e quello più caldo dell’anno.

«Abbiamo ancora tutte le dita, quindi vuol dire che la prima parte dell’opera è andata alla grande» racconta Lanzaretti, appena tornato dal percorso invernale. I due si sono affidati a un equipaggiamento “sperimentale”: nessuno, del resto, aveva mai provato un’impresa simile. «Non esiste nessuna azienda che si mette a produrre materiali per tali temperature. Oltre a una stufa di titanio e tende termiche, abbiamo portato attrezzature per far legna ogni sera e ci siamo vestiti con materiali di ultima generazione, molto sottili e leggeri».

Tutto questo non per scaldarsi, ma per mantenere costante la temperatura corporea: «Dovevamo pedalare senza mai sudare, perché sudare in quelle condizioni vuol dire congelamento. Ci sono tecniche particolari per farlo: a volte bisogna magari togliersi il cappello piuttosto che aggiungere un cappuccio, aprire una certa zip oppure chiuderla oppure aprire una tasca con movimenti millimetrici. Tutto per far sì che il cuore e i muscoli continuino ad andare ma senza che si surriscaldino. In tutto questo, devi compiere tutta la distanza possibile immaginabile. È un’impresa ardua anche per persone che sanno sfruttare al massimo le proprie capacità fisiche».

Il fenomeno del surriscaldamento della regione, dice Lanzaretti, è piuttosto recente: «I 105 gradi di escursione termica che danno il nome al nostro progetto sono stati registrati l’estate scorsa, ma il fenomeno dura da qualche anno. In questa zona del mondo, così estrema, qualsiasi minimo cambiamento si nota in maniera netta: se in Italia si passa da 38 a 40 gradi nessuno ci fa caso, ma quando in un posto l’inverno fa -60 gradi e nello stesso luogo l’estate si ha lo stesso clima di Miami le cose cambiano. I mesi estivi stanno diventando molto più caldi, per questo ci sono un sacco di incendi, un fenomeno peraltro incrementato dallo scongelamento del permafrost che libera nell’atmosfera grandi quantità di gas serra, al punto che questo fenomeno ora preoccupa anche il governo centrale di Mosca».

La popolazione locale, sparuta ma tenace, ora potrebbe perdere persino la propria casa. «In quest’area, le abitazioni sono sorrette da pilastri piantati in profondità nel terreno congelato, senza fondamenta, dato che fino a poco tempo fa non scioglieva. Ora, con le temperature sempre più alte, le strutture stanno cedendo: abbiamo visto decine di case piegate, flesse, strutture che per centinaia di anni erano rimaste dritte grazie alla rigidità del clima siberiano». Com’è possibile, però, che siano bruciati nove milioni di ettari di talga senza che nessuno intervenisse? «Si tratta di una zona molto isolata – spiega Lanzaretti – al punto che ci si accorge che sta bruciando tutto solo perché emerge dalle rilevazioni satellitari. Non c’è nessuno che è lì presente per vedere queste foreste che bruciano. Inoltre, controllare tali roghi ha costi elevatissimi, nessuno mai si metterà a spegnerli. Non solo: la Russia non è un Paese che ha l’ambizione di mettere in piazza i propri problemi, anzi».

Il governo russo, tra l’altro, ha sempre dato poco peso ai tavoli dove si discuteva dell’impatto dei cambiamenti climatici. Perché dunque il fenomeno ha attirato le attenzioni persino di Mosca? «Questa escursione termica colpisce anche le infrastrutture: strade, ponti, ma soprattutto oleodotti. Il nord della Siberia è quasi disabitato, ma esistono le strutture per portare le materie prime attraverso la Russia. Queste stanno subendo danni gravi: se gli oleodotti si piegano o – peggio – si spezzano, vengono riversate nella tundra tonnellate di idrocarburi». Un disastro economico, oltre che ambientale, in un momento dove la domanda energetica del continente europeo nei confronti del Paese è molto alta. «Ci sono immagini satellitari – continua Lanzaretti – in cui si vedono laghi non più pieni d’acqua, ma di idrocarburi. Segno che questi tubi sotterranei si sono mossi e danneggiati a causa dello scioglimento del permafrost, che ha contaminato le falde acquifere circostanti». 

Terminata la prima parte dell’impresa, i due ora programmano il percorso estivo. Pensato inizialmente come una traversata in Sup (costituito da una tavola galleggiante e da una pagaia), le tante difficoltà della pedalata invernale e il confronto con la popolazione locale hanno cambiato la loro strategia. «L’esperienza ci ha reso più prudenti. Dobbiamo raccogliere informazioni più dettagliate: sono 800 chilometri che nessuno ha mai attraversato tutti insieme. Se ci fossero delle rapide, per esempio, il sup sarebbe un mezzo letale e sarebbe invece più opportuno sfruttare un kayak. Inoltre, la natura e la fauna locali sono inospitali e pericolose: la gente della Siberia, se si avventura in quelle zone, non lo fa mai senza un fucile. Noi non vogliamo invadere il territorio di lupi e orsi minacciandone la pace e mettendoci in pericolo, quindi stiamo studiando la soluzione migliore». Appuntamento dunque a quest’estate per il secondo tratto della traversata. Incendi permettendo.

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