Cosa è statoCalvosa raccoglie in un romanzo gli intrighi del Novecento italiano

Papi e comunisti, affari illeciti e poco noti. “Il tesoriere” (Mondadori) racconta i passaggi più delicati e oscuri dell’ultimo secolo e collega storie del passato al loro riaffiorare meno visibile

Guido Calamosca/LaPresse

L’udienza privata dal papa era prevista per le undici e sarebbe stata l’ultima del 1972. Un’ora prima, Paolo si fece riconoscere dalla guardia svizzera che piantonava Porta Sant’Anna e andò a parcheggiare come da indicazioni nello spiazzo di fianco a piazza Pio XI. Andrea e Sandra furono accompagnati all’ingresso della Sala Clementina, lo splendido salone al secondo piano del Palazzo Apostolico accessibile unicamente in circostanze particolari come quella. Lì furono accolti da una delle suore deputate ad assistere il Santo Padre, che li invitò ad accomodarsi visto che ci sarebbe stato da attendere qualche minuto.

Sandra, costretta a indossare uno scomodo tailleur accollato acquistato per l’occasione, rimase senza fiato di fronte alla bellezza del salone, un trionfo abbagliante di affreschi e mosaici geometrici. Andrea, che per l’occasione aveva cercato di dare tono a uno dei due abiti del suo risicato guardaroba arricchendolo con una cravatta troppo costosa per i suoi standard, si era ritrovato inconsapevolmente a stringere la mano della moglie, stupita dal suo inusuale nervosismo.

«In fondo è la prima volta che veniamo ricevuti da un capo di Stato» si ritrovò a giustificarlo lei. Ma quello che la colpì maggiormente fu lo scatto con cui si alzò in piedi mentre si apriva la grande porta decorata. Sulla cui soglia apparve Ottavio, seguito da uno stuolo di suorine dietro le quali spiccava la sagoma bianca del pontefice. Intorno a lui tre cardinali in tunica porpora e un uomo in abiti civili con una grande macchina fotografica a tracolla.

Andrea si ricordò in extremis del protocollo e lasciò che fosse Sandra a salutare per prima il papa, il quale le prese entrambe le mani nelle sue mentre lei si esibiva controvoglia in un accenno di inchino. Il pontefice le rivolse un sorriso benevolo e le sfiorò il viso con una carezza, poi si voltò verso il tesoriere e gli tese la mano con il palmo rivolto verso il basso. Le spalle leggermente incurvate su cui poggiava la mantella bianca e il viso tondo dall’espressione gioviale e dalla carnagione rosea più accesa sulle guance componevano un ritratto perfetto di pace e accoglienza. Andrea pensò che Dio non avrebbe potuto scegliere candidato più giusto a interpretare il ruolo di suo rappresentante tra gli uomini.

«Andrea, abbiamo sentito belle cose su di te».

Inaspettatamente, sentire il papa pronunciare il suo nome gli fece un certo effetto. Il colloquio durò pochi minuti, il tempo sufficiente a ribadire la posizione antisovietica del Vaticano. «A cosa serve lottare per la libertà degli oppressi se il giorno dopo ci trasformiamo in oppressori?» fu la retorica, quanto attesa, domanda del papa.

Al termine del cerimoniale che si concluse con un paio di fotografie e una benedizione non richiesta, Ottavio e il cardinale Bonidy proposero agli ospiti una visita ai Giardini Vaticani. Il cardinale prese sottobraccio Andrea mentre Ottavio chiacchierava con Sandra, accelerando il passo per lasciare suo fratello solo con il suo superiore. L’udienza con il pontefice aveva avuto come unico scopo quello di mettere in soggezione Andrea. Il vero colloquio si sarebbe tenuto con Bonidy.

«Siete molto diversi, lei e suo fratello». Quelle parole suonarono strane in bocca a un cieco.
«Lui è la parte sana della famiglia». replicò ironicamente Andrea.
«E lei quale parte è?»
«Quando deciderò di confessarmi, glielo farò sapere». «Perché, cos’ha contro la confessione?»
«È una debolezza. Noi comunisti non ci liberiamo mai del peso dei nostri errori confessandoci. Preferiamo il dibattito pubblico. Per questo stampiamo tanti giornali».
«Per stampare tanti giornali occorre un’organizzazione costosa».
«Quello è lo scopo principale del mio incarico».
«Trovare soldi?»
«Organizzare la macchina della propaganda».
«Quindi secondo lei è solo questione di propaganda. Non pensa di sottovalutare la capacità di giudizio delle persone?»

«Vostra Eminenza» il tono di Andrea suonava come un invito alla franchezza «le persone credono a qualunque cosa se ripetuta un numero sufficiente di volte. È per questo che vi siete inventati la messa».

«Facciamo così, sarò io a confessarmi con lei. L’ultima volta che ho incontrato Fragale ho usato parole di cui mi sono pentito. In fondo era una persona perbene».

«In fondo?» Ad Andrea scappò un sorriso. «Mi dica, cardinale, cosa possono mai avere da discutere il presidente dello Ior e il tesoriere del Pci?»
«Di molte cose. Della necessità di essere artefici del proprio destino, ad esempio. Di decidere, quando le circostanze lo richiedono».

«Quelli come me e Fragale sono al servizio di un disegno, si attengono alle regole. Le decisioni le prendono altri».
«Al servizio di un disegno!» A Bonidy scappò una risatina.
«Lei parla proprio come un prete. A noi queste cose insegnano a dirle al seminario». L’alto prelato fece una pausa e tornò serio.

«Io l’ho fatto a New York. Una città bella ma difficile, soprattutto per un cieco, e specialmente se solo.
La capisco, sa, ho imparato presto cosa significa non avere qualcuno con cui condividere il fardello dei propri pensieri».

Quelle parole evocarono nella mente di Andrea gli incubi che riguardavano suo padre. Restò in silenzio lasciando che il cardinale continuasse il suo ragionamento mentre camminavano a passo lento.

«Ritrovarsi soli ci obbliga a prendere delle decisioni. Mi ricordo bene quando non trovai mia madre ad aspettarmi come tutti i pomeriggi all’uscita dal seminario. Avevo sedici anni, mio padre era appena passato a miglior vita e sapevo che lei da quel giorno non sarebbe più venuta a prendermi. Avrei dovuto attraversare da solo tutta Manhattan. Aspettai quasi dieci minuti sulla gradinata della chiesa prima di mettermi in cammino. Poi finalmente mi decisi. Anche se conoscevo bene la strada mi persi quasi subito e restai bloccato a un incrocio affollatissimo. Ero confuso, spaventato dal rumore dei clacson, dalle urla dei venditori di hot dog, dal rombo delle auto. Per la prima volta in vita mia mi sentii veramente solo. Aspettai qualche minuto, in attesa che qualcuno mi notasse e mi aiutasse ad attraversare. Ma niente. Fu proprio quando mi convinsi a chiedere aiuto che sentii toccarmi il braccio con gentilezza. Il sollievo durò pochi secondi. Si trattava di un altro cieco. Un signore anziano che tremava e stava a malapena in piedi».

Il cardinale si fermò. Sembrò rivivere fisicamente quel momento. «Gli dissi di tenersi a me, senza pensarci un instante. Gli presi la mano e attraversammo insieme. Fu il momento più emozionante della mia vita. E anche quello più rivelatore».

da “Il tesoriere”, di Gianluca Calvosa, Mondadori, 2021, pagine 396, euro 19

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