La rimozione del maleL’Italia non ha fatto quasi nulla per restituire i beni rubati agli ebrei con il fascismo

Come spiega il libro di Ilaria Pavan (Il Mulino), il primo gruppo di lavoro sul tema è stato creato nel 2020, a quasi 80 anni di distanza. In generale, la questione venne evitata fin dal Dopoguerra perché in tanti avevano approfittato, sia in misura economica che sociale, delle conseguenze delle leggi razziali

Cecilia Fabiano-LaPresse

A oltre ottant’anni dalla campagna antisemita del fascismo diversi aspetti relativi alle proprietà perdute e ai diritti mai pienamente reintegrati rimangono aperti. Molto resta da esplorare, ad esempio, circa la sorte del patrimonio culturale ebraico andato disperso. Non solo occorrerebbe ancora indagare sul destino di opere d’arte di grande valore, su cui si è solitamente concentra l’attenzione mediatica, ma anche sugli oggetti rituali o sul rilevante patrimonio bibliografico scomparso; o, ancora, sul destino di quelle migliaia di oggetti forse di minore pregio artistico, ma parte della vita di tutti i giorni degli ebrei perseguitati.

Oggetti espressione di quella living room art – come è stata efficacemente definita – che avevano un significato tanto simbolico-affettivo quanto identitario, e che alimentarono assai spesso un fiorente mercato cittadino, se non di quartiere:

Di tutti i nostri beni ritrovammo un tavolo, una scrivania del Seicento, e una credenza della cucina. Non ritrovammo mai più né l’argenteria, né un preziosissimo servizio di piatti di porcellana del Settecento decorato in oro zecchino, né le suppellettili, né i bellissimi mobili antichi autentici, né una natura morta […] di Giorgio Morandi, né una «Maddalena» della Scuola di Guido Reni e tutto il resto che ci può essere in una grande casa. Avendo la mamma, subito dopo la fine della guerra, ritrovato un nostro vaso presso un antiquario di Ferrara, abbiamo sempre pensato che la nostra roba sia stata comprata dagli stessi ferraresi e che sia ancora nelle loro case.

Resa nei mesi successivi alla fine del conflitto dai membri di una famiglia di ebrei di Ferrara che aveva subito la razzia dei propri beni, questa testimonianza illustra con efficacia un fenomeno che, seppure mai quantificato né approfondito, a guerra conclusa dovette risultare piuttosto diffuso.

Sul problema dei beni artistici, nell’estate del 2020 il ministero della Cultura ha istituito il Gruppo di lavoro per lo studio e la ricerca sui beni culturali sottratti in Italia agli ebrei tra il 1938 e il 1945 a seguito della promulgazione delle leggi razziali, in seno al quale, tuttavia, non siede neppure uno storico.

La nascita, solo nel 2020, del Gruppo di lavoro è significativa del grande ritardo che l’Italia ha registrato anche su questo specifico fronte delle restituzioni, che in altri paesi ormai da tempo costituisce un tema su cui a livello politico-istituzionale diversi governi europei hanno invece investito molto, e molto realizzato.

In anni recenti, proprio le questioni legate al destino dei beni culturali ebraici hanno infatti rappresentato in Europa uno dei terreni privilegiati per misurare i percorsi nazionali di Vergangenheitsbewältigung – lemma che, proveniente dal contesto tedesco, è generalmente utilizzato dalla storiografia per definire i complessi processi di «confronto con il passato», e i modi in cui questi si realizzano.

Se in Italia il recupero, dopo la seconda guerra mondiale, del patrimonio artistico proprietà di musei, enti e istituzioni statali, o religiose, è stato oggetto di attenzione da parte delle istituzioni, e gli studi hanno sottolineato l’alta salienza diplomatica e simbolico-identitaria di quelle politiche, la scomparsa del patrimonio culturale ebraico non ha sollecitato la stessa attenzione.

Non a caso, nel novembre del 2018, in occasione della conferenza che a Berlino ricordava il ventennale dai Washington Principles on Nazi-Confiscated Art, l’Italia era tra i cinque paesi segnalati per l’inerzia con cui stavano affrontando la questione, affiancata da Polonia, Ungheria, Grecia e Spagna:

Le città e le regioni italiane, dove è conservata gran parte delle collezioni artistiche del paese, hanno ignorato i Principi di Washington. Non c’è stata alcuna ricerca sulla provenienza delle opere [conservate nei musei] o censimento di possibili opere d’arte rubate […] da parte del
governo italiano.

Anche il ritardo su questo particolare capitolo delle restituzioni dei beni ebraici si collega al modo in cui in Italia è stata vissuta, e velocemente metabolizzata, la fiammata di interesse suscitata alla fine degli anni Novanta, a livello internazionale, dalle cosiddette Holocaust Litigations. Come ricordato nelle pagine precedenti, neppure le indagini promosse dalla Commissione Anselmi, e le molte evidenze contenute nel suo denso Rapporto conclusivo, sono infatti riuscite a riportare l’attenzione mediatica e politica su questi aspetti della stagione razzista.

Dal lavoro della Commissione era emerso chiaramente come la burocratizzazione dello sterminio, ravvisabile anche nella fase della persecuzione economica degli ebrei – fase che ovunque in Europa aveva preceduto e poi accompagnato quella della deportazione – fosse una categoria da applicare pienamente anche all’Italia. Anche nel caso italiano si era dunque in presenza di quel fenomeno di «transpropriazione» di cui ha scritto Jan Gross:

La discriminazione, la progressiva espropriazione e l’espulsione degli ebrei dalle cariche ricoperte, apre la strada alla mobilità sociale e all’arricchimento del resto della società. In questo modo l’antisemitismo di stato si privatizza per l’appunto sotto forma di molteplici opportunità di miglioramento delle condizioni di vita di tutti coloro che ebrei non sono. Questo processo assume forme diverse a secondo che abbia luogo nel Terzo Reich oppure nei paesi occupati o subalterni alla Germania. Le sue modalità in Polonia sono differenti da quelle in Francia, in Ungheria o in Grecia, ma il fenomeno presenta ovunque un tratto comune accolto con soddisfazione dalle società locali: è un meccanismo di «transpropriazione» e di redistribuzione dei beni ebraici a favore degli ariani.

Ma sul coinvolgimento attivo e diretto della popolazione italiana nell’attacco ai beni ebraici e sulle «molteplici opportunità» che la persecuzione aveva aperto nel paese «a favore degli ariani», grava a tutt’oggi un’ipocrita rimozione, che non è ancora stata messa criticamente in discussione. Una rimozione di lunga durata, la cui origine si colloca subito a ridosso della conclusione del conflitto.

da “Le conseguenze economiche delle leggi razziali”, di Ilaria Pavan, Il Mulino, 2022, pagine 320, euro 25