C’erano pochi fascisti tra i democristiani. Pochissimi presso i liberali e i repubblicani. Alcuni tra i socialisti. Moltissimi tra i comunisti.
Oggi – e in questo senso avrebbe ragione chi denunciasse il pericolo di un risorgimento neofascista, se non sbagliasse nel vederlo unicamente presso qualche sparuto raggruppamento di teste rasate – oggi, dicevo, la presenza fascista è dilagata.
Lo zoccolo duro del fascismo italiano, cioè quello di stampo comunista, è sempre lì, tuttavia adornato dai multiformi aloni progressisti ineducati alla pregressa ortodossia ma perciò anche più disponibili e propensi al riflesso illiberale, autoritario e costituzionalmente antidemocratico che nel Partito comunista italiano si presentava col vestimento triste del gerarca, nell’oscenità uniformata degli Alessandro Natta, dei Pietro Ingrao, degli Enrico Berlinguer, dei Massimo D’Alema in versione pre-parvenu, mentre nel milieu spensierato e facilone di adesso sboccia bello bello nello splendido quarantenne con zainetto e completino da commercialista, la versione Erasmus del ragioniere anni ’50, solo più ignorante.
E sboccia anche nella trasognatezza della post-massaia inviata sul fronte del giornalismo da trincea, la trincea dell’impegno in tinello nell’attesa di uscirne migliori, dei professorucci con zazzera da Antonio Gramsci post-atomico, degli architetti da bosco verticale, dei magistrati combattenti per la causa dei centottanta giorni di ferie, dei designer con consulenza ministeriale, dei reggisti con due g, degli attori con sussidio ATAC, degli economisti col trolley, tutti felici felici di implotonarsi sulla scena dell’Italia unita contro l’odio e presidiata da tanta bella galera democratica per chi non canta dal balcone, statisticamente abusivo, che le tasse sono bellissime, che la Repubblica fondata su Sanremo e sul PNRR è la più gajarda de tutte e che Sergio Mattarella è il punto di riferimento fortissimo di tutti i doveri morali.
Poi c’è il rincalzo falangista della piazza del vaffanculo, lo squadrismo degli schedatori e degli schedati della Casaleggio Associati, la carovana di sgherri della politica dell’onestà, che rispetto al fascismo progressista di cui sopra, fatto perlopiù di conformismo tontolone, rappresentano la versione più spiccia e rozza, più violenta perché ancora espressione di un potere avventizio, di una criminalità civile e politica in predicato di assoluzione, pour cause, grazie ai programmi di affascinante avventura comunitaria con la meglio sinistra delle decapitazioni parlamentari e del fine processo mai.
In questo quadro, le contribuzioni di Capitan Ruspa in epilogo polacco e quelle della Madre bianca e cristiana, checché se ne dica, non sono eccentriche ma armoniche, e il vero tenore fascista del Paese non è determinato, ma solo partecipato, da quei due pittoreschi sprovveduti.