In trenta secondi il sindaco di Przemys, Woicech Bakun, uomo di destra, ha dato una memorabile lezione a tutti noi italiani. Ma perché, in tanti anni che lo conosciamo, nessuno di noi ha avuto il coraggio, la prontezza, la dignità di mandare Matteo Salvini al diavolo come ha fatto Bakun?
D’accordo, qualche contestazione il capo leghista l’ha avuta (ricordiamo una coraggiosa Elly Schlein inseguirlo a voce alta per strada: «Come mai non siete mai venuti alle riunioni su Dublino?») ma mai come ha fatto il sindaco della cittadina polacca dove l’ex Capitano si era recato.
Eppure abbiamo avuto qui le citofonate bolognesi, il mojito per far cadere un governo, il blocco degli sbarchi, il rosario nei comizi, di tutto e di più, ma gli italiani lo vota(va)no lo stesso – è anche vero che scende nei sondaggi, ieri Swg lo dava al 17%: è sempre lo stesso Salvini, non è cambiato, forse un po’ di esperienza in più ma è il solito spaccone da sala di biliardo, uno che pensa di prendere il mondo per i fondelli, che fa il contrario di quello che dice e dice il contrario di quello che fa.
E dunque è come se il sindaco di Przemys, a pochi chilometri dall’Ucraina, esibendo con nonchalance la maglietta col faccione di Putin che Salvini sfoggiò in più di un’occasione, avesse detto a noi italiani: ma ancora credete a questo buffone? Come potete credere a uno che è venuto qui, a pochi passi dal Paese insanguinato dal suo faro Putin? «Io non la rispetto», ha detto sul muso al politico italiano intabarrato nel giaccone sponsorizzato, ed è come se avesse detto a noi: ma come fate a rispettarlo?
Già, noi, gli italiani brava gente che se la ridono fino a che non vedono in faccia la tragedia, come accade ai soldati di quel vecchio film di Giuseppe De Santis, noi il sussulto morale del sindaco Bakun non l’abbiamo avuto abbastanza, facciamo troppo il callo al bullismo di certi politici, e forse Mario Draghi, Enrico Letta, Matteo Renzi ma pure Giorgia Meloni avrebbero dovuto dirgli «Matteo, ma che vai a fare al confine polacco-ucraino?», senza dire che sarebbe ora che i vari Luca Zaia e Massimiliano Fedriga alzassero la voce contro un leader che gli fa fare una figura barbina agli occhi del mondo.
Ma anche noi siamo stati distratti, noi tutti, e per esempio i giornali avrebbero dovuto sollevare il problema di un leader politico italiano che si apprestava a compiere un’operazione pasticciona e vampiresca alla ricerca di sangue propagandistico da mescolare all’anemico plasma fatto di slogan sul catasto e altra robetta di questo genere, una macchietta del sovranismo che non si pone mai il problema di un ripensamento, una revisione, un’autocritica, sgambettando piuttosto da una trovata e l’altra.
Ma intanto la maglietta con l’immagine di Putin soldato era lì sotto il giubbotto del sindaco Bakun, un giubbotto esplosivo per l’ospite inatteso e sgradito giunto da lontano per lucrare facili consensi e soprattutto qualche fotografia da gettare sulle bancarelle della Storia, il tutto seguito dalla sentenza del Giusto: «Salvini, io non la ricevo. Venga con me al confine a condannare Putin»: al che l’imputato Salvini si è fatto scurissimo inseguito dai «buffone, pagliaccio» è tornato indietro alla De Niro-Al Capone (“Gli intoccabili”) ma ha capito che non era aria: “chiacchiere e distintivo” era lui.
Frittata mai vista davanti al pianeta intero. Incredibile che un uomo che è stato vicepresidente del Consiglio e ministro dell’Interno abbia potuto pensare di fare una cosa sensata. Ma come dice Shakespeare (“Come vi piace”), «il folle pensa di essere saggio». E ci voleva un sindaco di una sperduta cittadina polacca per farci capire che c’è un “folle” che si aggira nella politica italiana.