Nuove e vecchie armiMissili cruise e marines: così si riorganizza l’esercito italiano

Giuseppe Cavo Dragone, Capo di Stato Maggiore della Difesa, spiega a Repubblica che «il virus e la guerra indicano il bisogno di avere più militari in servizio». E dice: «Gli echi della guerra si sentono vicini, questo genera apprensione nei cittadini mentre noi abbiamo la necessità di riorientare il dispositivo militare»

(AP Photo/Oleksandr Ratushniak)

«I russi hanno commesso un doppio errore. Hanno sopravvalutato la loro forza e sottovalutato quelle degli ucraini. Per questo credo e spero che l’offensiva si fermerà presto». Su Repubblica parla l’ammiraglio Giuseppe Cavo Dragone, Capo di Stato Maggiore della Difesa. Pilota di caccia Harrier, ha partecipato come responsabile della campagna aerea ai raid contro i talebani nel 2001 ed è stato al vertice delle forze speciali impegnate nella lotta all’Isis. Poi ha guidato la Marina e da novembre è a capo delle forze armate.

«Il virus e la guerra indicano il bisogno di avere più militari in servizio», dice. Ma «mai mi sarei aspettato un conflitto tra Paesi che sono geograficamente parte dell’Europa. Ci eravamo abituati a vedere i nostri militari partire per missioni in teatri lontani, ora invece si stanno schierando in Polonia e in Romania. Gli echi della guerra si sentono vicini, questo genera apprensione nei cittadini mentre noi abbiamo la necessità di riorientare il dispositivo militare».

Certo, «in questo momento gli sforzi sono diretti al presente: come garantire la sicurezza del Paese e come dare supporto a una nazione che è stata invasa. C’è un grande cambiamento. Negli ultimi venti anni ci siamo misurati con lo scenario della guerra asimmetrica, che non scomparirà perché dovremo continuare a fare i conti con il terrorismo, mentre questa è una guerra di tipo nuovo, in cui le armi convenzionali sono accompagnate da strumenti innovativi come incursioni cyber».

Ma intanto si pensa anche a riorganizzare le forze armate italiane, mentre si parla di conflitto multidominio, perché non riguarda più solo mare, cielo e terra ma anche le reti telematiche e lo spazio. «Il ministro Lorenzo Guerini ci ha già dato linee guida chiare e valide: vuole uno strumento integrato come passo intermedio per arrivare a operazioni multidominio», spiega. «La guerra impone cambiamenti rapidi. Li stiamo facendo ad esempio nella gestione degli aerei F35B e della forza da sbarco».

Sugli F35, Dragone dice che «si tratta di sfruttare in maniera flessibile la potenzialità offerta di questi mezzi che possono decollare su piste cortissime e atterrare verticalmente. Questo significa usarli sulle portaerei ma anche su piccole basi avanzate “austere”. Noi disporremo di un numero limitato di aerei. Gli F35 dovevano essere 131, poi sono stati ridotti a 90. E solo trenta saranno della versione a decollo corto: 15 della Marina e 15 dell’Aeronautica. Bisogna mettere a fattore comune questi trenta aerei, perché insieme possono esprimere una deterrenza significativa. Poi se saranno basati a terra ci sarà un ufficiale dell’Aeronautica a guidare le operazioni, sulla nave uno della Marina; l’importante è che tutti siano pronti per ogni scenario».

E sula “forza di proiezione dal mare”, spiega che «le nostre pedine operative, i lagunari dell’Esercito e la brigata San Marco della Marina, sono al top. Quello a cui stiamo lavorando è una catena di comando snella ed esercitazioni comuni per farli agire insieme. Così ci saranno 1.500, forse 1.700 militari pronti a intervenire rapidamente dal mare. Inoltre stiamo guardando a come i britannici sperimentano operazioni anfibie di forze speciali».

Dragone parla anche dell’ipotesi di armare i nuovi sottomarini con missili cruise, protagonisti dell’attacco russo. «Quello che abbiamo visto in Ucraina mi rende ancora più convinto. Un mezzo subacqueo di cui non si conosce la posizione, ma che può colpire bersagli di alto valore strategico, ha un peso di deterrenza in una crisi, in un confronto o in una negoziazione», dice.

In questa guerra però sono tornati protagonisti i carri armati. E l’Italia oggi ne ha pochissimi: meno di 200 vecchi Ariete. «Già prima della guerra ne ho parlato con il capo di Stato maggiore dell’Esercito», spiega il militare. «Abbiamo deciso di aggiornare un certo numero di Ariete ma individuare un nuovo carro armato è in cima alla lista delle priorità».

Nel 2019 i vertici delle forze armate avevano chiesto un aumento degli organici per affrontare i nuovi scenari di crisi mondiale. Poi la pandemia ha mostrato quanto possano essere utili i militari al Paese. E adesso? «Ero di questa idea prima, ancora di più adesso. Il ministro Guerini da subito ha recepito questa necessità e c’è stato il coinvolgimento parlamentare: il virus e la guerra indicano il bisogno di avere più militari in servizio. Chiaramente confrontando le nostre esigenze con quelle complessive del Paese».

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