Impara l’arte, dalle un tocco personale, mettila a servizio del tuo sogno. È un po’ questo il comune denominatore di tre giovani realtà milanesi nate negli anni difficili della pandemia e che, nonostante questo, sono diventate in poco tempo un punto di riferimento per tanti amanti del cibo di qualità. Merito di una gavetta importante, fatta alla corte di maestri illustri come Ernst Knam, Massimo Grazioli e Renè Redzepi, e della capacità di raccoglierne i frutti in maniera intelligente e innovativa. Vi raccontiamo tre storie di eccellenza, coraggio imprenditoriale e rapporti personali di sei fuoriclasse che dalle cucine d’eccellenza hanno spiccato letteralmente il volo.
TIEMI’, i segreti del cioccolato e della viennoiserie imparati da Knam e Christophe Adam
Tiemì, ovvero Beatrice Mazzarelli e Valerio Cambieri, uniti nella vita come in cucina. Una passione che si respira immediatamente entrando nel loro tempio in via Emanuele Filiberto, a due passi da Corso Sempione. Sul lato sinistro, un bancone in legno stile parigino espone viennoiserie per la colazione, dal pain au chocolat al croissant cocco e lamponi, mentre sul lato sinistro fanno capolino 15 tipi diversi di mignon, tra cui l’amatissimo Dinamite, una mini-cassa di cioccolato esplosivo. Ma Tiemì vuol dire anche biscotti artigianali, gelati, torte e pause pranzo veloci ma di qualità.
Beatrice e Valerio, entrambi milanesi, si conoscono 12 anni fa, nella cucina del Four Seasons; lei lavora come stagista della scuola alberghiera, lui come commis di pasticceria. Professionalmente poi le strade di separano. Valerio, dopo l’esperienza al Four Seasons – dove lo chef Coi Biong Chon rappresenta un punto di riferimento dal punto di vista umano e della tecnica – entra nelle cucine del Principe di Savoia e del Bulgari, per poi approdare a Parigi a L’Eclair de Genie di Christophe Adam; tornerà quindi a Milano per seguire l’apertura e lo sviluppo dei suoi punti vendita in città.
Beatrice entra invece nel laboratorio di Ernst Knam: «Lui mi ha fatto capire per la prima volta l’importanza della dedizione e del sacrificio. Grazie a lui ho capito che si può migliorare solo impegnandosi duramente e che nulla arriva per caso», racconta Beatrice, che tra l’esperienza alla corte del maestro del cioccolato e l’apertura della sua attività ha lavorato per cinque anni nella pasticceria di Peck.
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Tiemì oggi ha quasi due anni. L’apertura era fissata a febbraio 2020, poi il Covid ha posticipato tutto di tre mesi. «Non è stato semplice – raccontano Beatrice e Valerio – sia emotivamente, perché allo stress legato all’apertura di un locale si è aggiunto quello per una situazione nuova per tutti, sia a livello pratico, perché abbiamo dovuto cambiare i nostri progetti ancor prima di aprire, modificare la produzione, adeguarci alle direttive dei vari DPCM, organizzare il servizio di asporto… praticamente un altro business rispetto all’idea iniziale». Per non parlare delle difficoltà legate ai costi di avvio di una attività che non può nemmeno aprire.
«Se la strada è partita in salita, una volta ingranato le gratificazioni non hanno tardato ad arrivare: la nostra soddisfazione è vedere i clienti uscire dal nostro locale col sorriso e tornare». Beatrice e Valerio insegnano anche in diverse scuole di pasticceria a Milano. «La cosa che cerchiamo di spiegare è che questo lavoro non si può fare senza tanto impegno e sacrifici, è un mondo fatto di giornate lunghissime, stress e stanchezza. Ma se la pasticceria è veramente la tua passione, tutto questo passa in secondo piano».
Tondo Forno Artigiano, la magia del pane appresa da Longoni e Grazioli
Acqua, sale e farina. Da questi tre semplici elementi nasce una delle più importanti invenzioni umane, il pane. Il fornaio è il “cantastorie” con il compito di raccontare da quali passaggi e paesaggi, volti e storie è composta quella pagnotta. È questa la missione di Tondo Forno Artigiano, nato nel cuore del quartiere Isola due anni fa. I cantastorie, la veronese Silvia Cancellieri e il brianzolo Renato Nassini, si conoscono circa 10 anni fa all’Università di Scienze gastronomiche di Pollenzo; se è lei ad avere le mani in pasta, lui si occupa della gestione del negozio.
Tre ingredienti, per tante storie diverse, dicevamo. Perché ogni giorno Tondo sforna diversi tipi di pani, realizzati tutti con farine biologiche macinate a pietra provenienti da piccole realtà italiane. Alle pagnotte più classiche si affiancano pani speciali che variano ogni giorno della settimana, in base alla creatività di Silvia e agli ingredienti di stagione, offrendo variazioni con noci e frutta secca, olive, zucca, curcuma, ceci, castagne. Non mancano i buns all’olio, le focacce e le torte di verdura, ma anche impasti più dolci come biscotti e torte da forno.
Un’arte che Silvia ha imparato in tanti anni di esperienza: partita da un panificio di Cuneo, è poi passata dai laboratori di Davide Longoni e Massimo Grazioli. «È stato lui il motivatore forte, umanamente e professionalmente. Grazie a lui sono approdata a Cascina Sant’Alberto a Rozzano, dove sono rimasta alcuni anni prima di lanciarmi in quest’esperienza insieme a Renato». Tondo Forno ha appena compiuto due anni.
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«Abbiamo aperto a pochi giorni dall’inizio della pandemia – raccontano Silvia e Renato -. Se da un lato è stato faticoso perché eravamo solo noi due, dall’altro fortunatamente non abbiamo mai dovuto chiudere. Questo ci ha consentito di instaurare fin da subito un bel rapporto con tanti abitanti del quartiere, il passaparola ha funzionato bene. I clienti venivano a comprare il pane, e questa era anche l’occasione per scambiarsi due parole, svagarsi un po’ in un momento così difficile».
Merito della gentilezza di Silvia e Renato, e della qualità della produzione: la Tonda, con pasta semi-integrale di grano tenero e la pagnotta di semola di grano duro con i grani della Barbagia sono i pani più venduti ogni giorno.
Darsi anima e corpo e studiare, prepararsi il più possibile: è questa la filosofia che ha reso possibile il sogno dei due amici. «Le lievitazioni lente e il lievito madre scandiscono i ritmi della mia vita, vivo in simbiosi con il mio lavoro- conclude Silvia – Ma la fatica è ripagata dalla consapevolezza di costruire qualcosa di importante: produrre il proprio pane è una soddisfazione che non ha paragoni».
Lostecafè, la caffetteria gourmet degli ex del Noma di Copenaghen
Se passate da via Gucciardini 5 il sabato o la domenica mattina vedrete sicuramente una fila di persone che aspettano di entrare e accomodarsi al tavolo. Perchè a Milano la colazione del weekend è una cosa seria, e la qualità dell’offerta di Lostecafè vale di certo qualche minuto di attesa. Dal Cinnamon roll al Cardamomo, gusti di influenze nordeuropee, al Cotto e ricotto, ripieno di crema di mandorle e cioccolato, l’offerta di viennoiserie è una vera delizia per la vista e per il gusto. La caffetteria gourmet a due passi da piazza Tricolore, con un’offerta che comprende anche focacce salate e proposte per una pausa pranzo rapida ma gustosa, ha appena compiuto un anno. L’impresa di aprire in piena crisi pandemica è stata compiuta con successo dal piemontese Stefano Ferraro e dal toscano Lorenzo Cioli, rispettivamente ex capo pasticcere e sommelier del Noma di Copenaghen, tre stelle Michelin e una fama mondiale consolidata. Una scelta coraggiosa, quella dei due amici under 40, che hanno deciso di lasciare il ristorante tristellato per realizzare il proprio sogno in Italia.
«Inizialmente volevamo aprire un ristorante, poi abbiamo ridimensionato il progetto e optato per una caffetteria. Abbiamo scelto Milano perché è la città che garantisce maggiori possibilità di successo, anche se due giorni dopo l’apertura la Lombardia è diventata arancione, poi rossa. Dopotutto eravamo preparati e non ci siamo pianti addosso: questo ci ha consentito paradossalmente di iniziare a rodare facendo l’asporto”, racconta Ferraro, che ama definirsi “fieramente autodidatta”. Se a Copenaghen, alla corte di René Redzepi, dopo un anno come sous chef, ha preso le redini della pasticceria e si è specializzato nei dessert al piatto.
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L’abilità nella preparazione di lievitati e laminati l’ha imparata provando, sbagliando e riprovando. «Una modalità di lavoro che ho imparato al Noma: imparare ad accettare le sconfitte, rialzarsi e andare avanti», racconta Ferraro. Al socio Lorenzo Cioli la gestione delle bevande. Le arabiche arrivano dall’Etiopia, Guatemala e Costarica, e vengono tostate a Copenaghen, con un’attenzione particolare ai fornitori: «Lavoriamo solo con chi ci garantisce che chi raccoglie il caffè viene pagato il giusto, la nostra è una scelta etica».
Una filosofia applicata anche ai 4 dipendenti, cui vengono assicurati 2 giorni di riposo nonostante Lostecafè abbia ripreso ad aprire 7 giorni su 7. «A chi vuole intraprendere questo lavoro do due consigli: viaggiate, fate esperienze all’estero, imparate e poi tornate in Italia. Seconda cosa: se c’è qualcosa che sembra complicato, non accontentatevi: forse è proprio la strada più faticosa quella da prendere per ottenere ciò che volete».