C’era una volta il food porn. Si intendeva, con questa “sottile” metafora, la sconveniente pratica di fare fotografie ardite al cibo, close up talmente stretti da provocare un desiderio spasmodico di azzannare lo schermo del telefono. Goduriose colate di cioccolato, paste al forno filanti, pizze stracariche di mozzarella e carni coperte di salse voluttuose, piramidi di macaron e creme vellutate versate col cucchiaio. Era l’apoteosi del grasso è bello, e l’hashtag di riferimento era una certezza di salivazione aumentata.
Secondo i taccuini gastrosofici, l’origine del concetto di food porn è attribuita da alcuni a Roland Barthes, che lo definì «ciò che offre fantasie a coloro che non possono permettersi di cucinare certi pasti», mentre l’uso recente del termine pare ricondursi a Michael Jacobson, che lo ha utilizzato in contrapposizione al concetto di sana alimentazione – “Food Porn vs Right Stuff” – argomentando la necessità di pensare a un termine «per connotare un cibo così clamorosamente fuori dai limiti di ciò che un alimento dovrebbe essere, da meritare di essere considerato pornografico». Food porn, infatti, evoca quell’idea di irraggiungibile che, come nella pornografia, stimola fantasie e immaginari. Secondo altri il termine food porn si è invece diffuso a partire dal 1984, dopo che la scrittrice femminista Rosalind Coward lo ha utilizzato nel libro “Female Desire: Women’s Sexuality Today” per parlare dello spostamento dal concetto di cibo come dono al cibo come piacere estetico. La presentazione supera la sostanza, e stimola il desiderio, che diventa paragonabile a quello sessuale.
Poi hanno iniziato a fare lo stesso anche gli influencer healty: un’apoteosi di panettoni che una volta aperti riversavano crema di pistacchio sono stati per tutto il periodo delle feste una costante, come se queste creme proteiche fossero sane e leggere, ideali per tutti coloro che fanno sport e vogliono nutrirsi come si deve. Poi è arrivato un brand spagnolo di sex toys, MySecretsCase, che ha aperto un temporary tematico, dove i dolci avevano forme inequivocabili, e dal food porn si è virati decisamente all’eat porn. Ma era una palese operazione di marketing, non c’erano possibilità di fraintendimento. La ragione per cui è nato il progetto era funzionale alla vendita di giocattoli erotici che più o meno avevano la stessa forma dei dolcetti offerti. Discutibile, inelegante, ma ci poteva stare.
Quello che invece proprio non ci sta è la nuova apertura milanese che lo scorso week end ha fatto fibrillare instagram e ha intasato Corso di Porta Ticinese. I primi due giorni Mr Dick ha avuto una lunghissima coda fissa, anche due ore di attesa e aspettativa altissima. In vetrina, peni e vagine variamente decorati, coperti di glassa e zucchero, preparati con l’impasto del waffle e sostenuti da uno stecco, per rendere meglio l’idea di sviluppo verso l’alto anche nel momento dell’assaggio.
Non è pruderie, non siamo bacchettoni: è semplice buon gusto. Ernst Knam ha fatto il Knamasutra in tempi non sospetti e nessuno ha gridato allo scandalo, anzi: le sue formine con le immagini erotiche fatte di cioccolato rimangono una chicca da gustare en amitié, eleganti e raffinate, pur con sottofondo palesemente erotico. Se proprio vogliamo giocare sullo scontato binomio sesso – pasticceria, possiamo farlo meglio, con più grazia, con più charme, con più arte. Questa operazione ci sembra tutto tranne che un omaggio ai dolci come metafora del piacere. E francamente di mangiare peni e vagine di waffle non ne sentivamo proprio il bisogno.