Il Mar Caspio è lo specchio d’acqua interno più grande della Terra. Si estende per 371mila chilometri quadrati, occupando una superficie territoriale più estesa di quella di Italia e Germania, tra Azerbaigian, Iran, Kazakistan, Russia, Turkmenistan e Uzbekistan. Il suo nome può trarre in inganno. Formalmente è un lago di acqua salata, situato al centro di un bacino endoerico in cui sfociano fiumi importanti come il Volga, ma le sue dimensioni lo fanno assomigliare a un mare. La sua lunghezza è pari a 1200 chilometri, la larghezza raggiunge i 435 chilometri e la profondità massima tocca i 1025 metri sotto il livello del mare.
Non tutto, però, sta andando come dovrebbe. Il Mar Caspio sta vivendo una fase di profonda crisi: i livelli d’acqua sono sempre più bassi, con ritmi e tendenze difficili da invertire. Nel 2019 è stato toccato uno dei valori più bassi degli ultimi decenni e secondo alcuni ricercatori tedeschi e olandesi, come riportato da Repubblica, il peggio deve ancora venire.
I livelli di acqua, in futuro, potrebbero essere tra i 9 e i 18 metri più bassi con conseguenze tragiche per l’ecosistema del bacino. La colpa è del surriscaldamento climatico, che aumenta l’evaporazione e la perdita del ghiaccio marino invernale e il timore è che il Caspio possa fare la fine del vicino Lago d’Aral, ridotto a una pozza di acqua salata a causa di decenni di incuria da parte dell’uomo.
I cinque Stati rivieraschi hanno siglato, nel 2003, la Convenzione quadro per la protezione dell’ambiente marino del Mar Caspio. Si è trattato del primo accordo regionale giuridicamente vincolante che introduce un meccanismo istituzionale per la protezione ambientale. La Convenzione si è arricchita di documenti che impegnano i Paesi a utilizzare e promuovere le migliori tecnologie nello svolgimento di attività economiche nell’area marina oppure nella sua zona costiera. Non sempre, però, sono nate buone pratiche ambientali.
Per scoprirlo basta recarsi a Turkmenbashi, hub di petrolio e gas del Turkmenistan. Qui, nella totale assenza di vegetazione, si possono osservare ruderi di barche arrugginite, condutture in pessimo stato lasciate a marcire e percepire un odore acido che deturpa l’aria. In questa ex-perla balneare del passato nessuno osa più tuffarsi in acqua.
Il ministero per l’Ecologia e le Risorse Naturali dell’Azerbaijan ha ricordato, nel 2019, che le principali fonti di inquinamento del Mar Caspio sono le acque reflue non trattate e gli scarti della produzione di gas e petrolio. La contaminazione più pericolosa è quella dei prodotti chimici come gli idrocarburi petroliferi, i carboidrati ed i metalli che minano seriamente il processo di areazione provocando la distruzione della fauna e della flora marine. La speranza è che questo grido d’allarme possa scuotere, nel più breve tempo possibile, le coscienze e spingere ad azioni forti e radicali.
Il mar Caspio è minacciato dall’inquinamento e dalla pesca incontrollata, due fenomeni che stanno mettendo a dura prova le specie indigene, che rischiano l’estinzione. Il centro del lago è occupato da enormi impianti petroliferi, situati in particolare modo di fronte alle coste azere e più in generale sono proprio l’estrazione di metano e petrolio a incidere sullo stato di salute del lago e delle specie che lo popolano. Un secolo fa vi si potevano trovare circa un milione di foche mentre oggi questo numero si è ridotto del 90 per cento. Lo stesso destino è toccato agli storioni, che qui potevano contare su una delle popolazioni più grandi del mondo dissipatasi, però, nel giro di tre generazioni.
Le riserve energetiche presenti nel lago, pari a 50 miliardi di barili di petrolio e 300mila miliardi di metri cubici di gas naturale, hanno fatto passare in secondo piano ogni considerazione ambientale. Trent’anni fa, mentre l’Unione Sovietica cadeva in pezzi, Azerbaijan e Kazakistan pianificarono i primi megaprogetti riguardanti il petrolio e il gas. La speranza era quella di sopravvivere come nazioni indipendenti trasformando il panorama energetico regionale e l’obiettivo è stato pienamente centrato.