Nelle dichiarazioni pubbliche il capo dello Stato è stato molto chiaro. Lo è stato ancora di più nelle sue comunicazioni riservate con il premier e il ministro della Difesa. In sostanza, gli impegni internazionali presi dall’Italia e il rafforzamento della Nato vanno rispettati: dunque il governo deve andare avanti con il decreto per il graduale incremento di risorse nel settore militare, fino a quel 2% del Pil che era già necessario prima dell’invasione russa dell’Ucraina. Mario Draghi ha le spalle ben coperte dal presidente Sergio Mattarella di fronte all’offensiva politica e parlamentare di M5S e di LeU, che mettono in difficoltà la compattezza del governo.
L’incontro a Palazzo Chigi non ha prodotto una distensione. Anzi è andato proprio male. Per il presidente del Consiglio, se si mettono in discussione gli impegni internazionali, viene meno il posto di maggioranza. Una nota durissima che apre scenari preoccupanti di crisi di governo, al punto che Draghi è salito al Colle.
Al premier non resta che tirare dritto (anche su indicazione del Quirinale) e mettere la fiducia sul decreto, seguendo una linea che viene sintetizzata nel concetto “credibilità e affidabilità”, quello che l’Italia deve assicurare nel contesto atlantico ed europeo. Un concetto espresso in diverse occasioni dal ministro della Difesa Lorenzo Guerini. Il responsabile delle Forze armate ha però voluto precisare che la maggiore spesa militare è un impegno graduale e non deve andare a scapito di altre priorità legate alle problematiche economiche ed energetiche aperte, in maniera drammatica, prima dalla pandemia e ora dalla guerra. Ogni scelta, sostiene Guerini, deve essere approfondita e oggetto di confronto, ma dobbiamo dare un messaggio di affidabilità ai nostri partner internazionali: «L’Italia è un Paese serio».
La copertura data da Mattarella alla linea dell’affidabilità e credibilità è anche di natura prettamente istituzionale. L’articolo 87 della Costituzione prevede che il presidente della Repubblica presieda il Consiglio supremo di difesa e abbia il comando delle Forze armate. Un ruolo certamente formale e istituzionale, declinato anche in chiave politica con interventi che hanno un impatto sui passaggi storici come quello che stiamo vivendo. Non è un caso se in questi giorni Mattarella ha espresso amarezza e rammarico per il fatto che la pandemia non abbia spinto a una maggiore solidarietà. Sono invece risorti nuovi egoismi nazionali ed è pure scoppiata una guerra. Mai avremmo potuto immaginare «un retrocedere della storia e delle civiltà in questo inizio di millennio, assistendo a vittime di ogni età, bambini e anziani, a devastazioni di città e campagne, a un impoverimento del mondo».
Importante dunque cercare sempre il dialogo per porre fine al conflitto armato – «la pace è sempre doverosa e possibile» – ma per Mattarella non si può prescindere dalla necessità di rispondere all’aggressione dell’Ucraina con l’accoglienza dei profughi, con il sostegno a chi resiste e difende la propria terra contro un’invasione militare e con misure economiche e finanziarie che indeboliscano chi pretende di imporre con la violenza delle armi le proprie scelte a un altro Paese.
E all’Anpi, che si è schierata su una posizione neutralista, il capo dello Stato ha ricordato che l’attacco russo non colpisce solo un Paese indipendente. Colpisce le fondamenta della democrazia, rigenerata dalla lotta al nazifascismo, dall’affermazione dei valori della Liberazione combattuta dai movimenti europei di Resistenza.
Parole esplicite, che non lasciano spazio a tentennamenti e che danno la misura dello spazio ristretto dentro il quale il premier Draghi poteva tentare un accordo per non dividere la maggioranza e mettere la fiducia. In questo spazio non ci possono essere calcoli elettorali (le amministrative sono alle porte) e libere uscite da parte di Conte alla ricerca di un’identità perduta nei vari sliding doors governativi in cui i 5 Stelle si sono destreggiati.
L’ultimo calcolo potrebbe aver fatto pensare ai seguaci di Beppe Grillo (già Grillo, che fine ha fatto?) che le profonde divisioni del centrodestra consentano di abbandonare il progetto del campo largo al quale sta, meglio dire stava, lavorando Enrico Letta.
Rimane il fatto che tutto quello che accade a valle della politica, dal Colle più alto è visto come esasperante.