Vento di cambiamentoL’Ungheria va al voto per schierarsi con la democrazia, dice la leader dell’opposizione

Il prossimo 3 aprile si terranno le elezioni in un Paese che da anni sta reprimendo lo Stato di diritto e togliendo spazio ai dissidenti. Katalin Cseh, eurodeputata di Renew Europe ed esponente del partito europeista Momentum Mozgalom, dice a Linkiesta che in tutta la nazione c’è una speranza diffusa, come non si vedeva da tempo, di mandare a casa Orbán

Immagine tratta dal profilo Twitter di Katalin Cseh

«Non è a rischio il destino di una nazione sola, ma quello dell’Europa». Katalin Cseh è un’eurodeputata ungherese, a Bruxelles è vicepresidente di Renew Europe, a Budapest – dove si trova per la campagna elettorale in vista del voto del 3 aprile – è tra i leader di Momentum Mozgalom, terzo partito alle Europee del 2019, anima liberale ed europeista dell’opposizione unita nella corsa contro il primo ministro Viktor Orbán.

A Linkiesta, Cseh racconta il «vento del cambiamento» che soffia «in tutto il Paese, c’è una speranza diffusa, come non si vedeva da tempo, con centinaia di persone ai comizi».

Come è andata la campagna elettorale?
Immaginate di giocare una partita di calcio su un campo in pendenza e di trovarvi sul lato sbagliato: fare attivismo in Ungheria è così. Il nostro candidato, Peter Marki-Zay, ha avuto solo cinque minuti sulla tv pubblica, quando gli stessi canali rimandano in onda anche nove volte al giorno i discorsi di Orbán. Cinque minuti in quattro anni, a fronte di ore di falsità sul suo conto. Orbán abusa del suo potere e finanzia la campagna con i soldi dei contribuenti: una cosa inimmaginabile in una democrazia funzionante. La posta in gioco alle elezioni non è mai stata così alta, cerchiamo di fare tutto ciò che possiamo, porta a porta e sui social.

Il governo di Fidesz ha convocato un referendum nello stesso giorno delle elezioni, quali sono le motivazioni dietro questa mossa?
È allucinante. Abbiamo la guerra ai nostri confini, il costo della vita ai massimi storici, la sfida epocale del cambiamento climatico e l’esecutivo fa un referendum mistificatorio sui transgender e i minorenni. La ragione è che hanno sempre bisogno di un nemico contro cui coalizzarsi, prima era Bruxelles, l’Onu o George Soros, ora è la comunità Lgbt. Spero che venga rigettato dagli elettori. Non sarà un referendum solo sul futuro dell’Ungheria: Orbán ha ammiccato a un criminale di guerra come Vladimir Putin per dodici anni, abbiamo bisogno di un governo che ci riporti verso l’Europa, la democrazia e la libertà.

Quali aspetti faranno la differenza per i cittadini?
Dopo l’invasione dell’Ucraina dobbiamo scegliere se vogliamo essere alleati degli autocrati e dei criminali di guerra o se vogliamo essere un membro rispettato del club delle democrazie. Un tema chiave è la sicurezza energetica: i legami con Putin sono fondati interamente sulla corruzione. Dobbiamo impostare un cammino verso la sostenibilità e liberarci dal gas russo. Dobbiamo introdurre l’euro contro la svalutazione della nostra moneta. È la scelta tra odio e amore, tra una società libera e una in cui qualcuno è più uguale degli altri di fronte alla legge. Sogno un’Ungheria dove la gente sia valutata per le sue idee imprenditoriali, le sue competenze e i suoi talenti, dove l’economia funziona per tutti e non solo per chi ha amici nell’inner circle di Orbán.

L’aggressione di Kiev rende questa scelta di campo ancora più urgente.
Abbiamo il conflitto dietro casa: chi vive vicino al confine con l’Ucraina sente suonare le sirene di notte. È un crimine contro l’umanità orchestrato dal principale alleato di Orbán. Non lo si può più ignorare. Dobbiamo decidere tra la guerra e la pace. Siamo al punto decisivo nella storia della nostra nazione.

Pensa che Marki-Zay riuscirà a sconfiggere Orbán?
Ha vinto le primarie, l’ha votato la maggioranza degli elettori dei partiti dell’opposizione. È sicuramente un avversario che Orbán non si aspettava: è un conservatore, sindaco di una piccola città di campagna, molto schietto, diretto e onesto. Non fa parte dell’establishment politico. In passato abbiamo faticato a raggiungere le zone rurali, ma oggi più piccolo è il posto e più grandi sono i problemi. Penso sia cruciale mostrare un’alternativa. La causa dell’Europa e della democrazia non è importante solo per chi vive nella capitale, ma per ogni singolo ungherese. Non è più una questione di destra contro sinistra.

Che possibilità avete di vincere?
Direi 50 e 50. Ma è la chance più grande degli ultimi dodici anni.

Molti ritengono che sarebbe un successo anche solo annullare la maggioranza di due terzi in parlamento che ha permesso a Orbán di cambiare la costituzione.
È chiaro che perderà la maggioranza assoluta, ma non è abbastanza. Dobbiamo cambiare il governo.

In questi anni, molti politici italiani, come Matteo Salvini e Giorgia Meloni, hanno guardato a Orbán come a un modello.
Se è per questo, Salvini guardava anche a Putin come modello, come faceva Orbán, e adesso è ancora più chiaro quanto fosse un errore. Non si tratta di decidere il futuro di un paese solo, ma quello dell’Europa. Un’Europa più forte, unita e resiliente di fronte alla guerra. O diventiamo più integrati, o rischiamo di diventare come ci vorrebbero gli amici di Orbán, Xi Jinping e Putin. Salviamo la democrazia finché possiamo. Perderla è più facile di quanto sembra e poi tornare indietro non è così facile, ma noi cercheremo di dimostrare che non è impossibile.

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