La convivenza tra l’uomo e l’orso bruno, in Italia, non è delle più semplici. Ciclicamente si verificano incontri spiacevoli tra questo plantigrado ed esseri umani che si trovano nel suo habitat. Altre volte ci rimettono la pelle greggi e armenti, oggetto di razzie predatorie e di scorpacciate. Questi episodi e l’eventuale cattura dell’esemplare di orso incriminato riaprono l’eterno dibattito tra chi è favorevole all’abbattimento dell’animale, perché considerato pericoloso e chi ritiene che quest’ultimo agisca per difendersi oppure per istinto di sopravvivenza. In altri casi si decide di trasferire l’orso in strutture protette, dove potrà continuare a vivere in spazi recintati perdendo la possibilità di tornare a vivere nei boschi in libertà. Trovare un punto di incontro tra “colpevolisti” e “innocentisti” è complesso ma non può prescindere da una conoscenza approfondita dei plantigradi.
L’orso bruno è un animale di grandi dimensioni, con un peso che può raggiungere i 180 chili nel caso di esemplari maschi che vivono in libertà e riescono a nutrirsi in maniera adeguata. Può camminare su due zampe ma utilizza questa postura solo in determinate occasioni, come quando deve combattere o come deterrente visivo per intimidire i possibili rivali quando deve difendere il territorio. Vive in aree poco popolate, lontano dalle città e privilegia le foreste, dove percorre distanze molto lunghe. Il suo habitat può estendersi per molti chilometri quadrati ed entrare nel suo territorio rappresenta un grave rischio. Si tratta di un animale onnivoro che privilegia frutta e verdura non disdegnando, però, l’occasionale consumo di salmone. Vive in condizioni di isolamento, che viene rotto unicamente quando deve accoppiarsi con le femmine per riprodursi. Gli orsi bruni europei temono gli uomini e tendono a evitarli ma sono pur sempre animali selvatici in grado di manifestare comportamenti aggressivi per difendersi, proteggere la prole oppure se colti di sorpresa. Bisogna cercare di evitare incontri ravvicinati e qualora ciò avvenga, ma si tratta di casi veramente fortuiti, bisogna valutare l’adozione di una serie di comportamenti che variano in base all’atteggiamento mostrato dall’animale ma che devono essere contraddistinti dalla calma. Nella maggior parte dei casi è l’orso stesso ad allontanarsi spontaneamente, mentre in altre circostanze può avvicinarsi oppure può aggredire con un contatto fisico.
Nel nostro Paese l’orso bruno occupa tre grandi macro-aree. Due di queste si trovano sulle Alpi, in Trentino occidentale e nell’area di confine tra Friuli Venezia Giulia, Austria e Slovenia mentre l’altra è situata sull’Appenino centrale, tra Abruzzo, Lazio e Molise. Prima del Ventesimo Secolo l’orso bruno popolava l’intero arco alpino ma i suoi numeri iniziarono a contrarsi già all’inizio del 1700, a causa dell’antropizzazione dell’ambiente e della caccia indiscriminata. Il calo si prolungò per molti decenni e si sfiorò la scomparsa totale, nonostante il divieto di caccia introdotto nel 1939, nel periodo compreso tra le due guerra mondiali e in quello successivo ai conflitti.
Alla fine degli anni ’90 l’orso bruno era quasi estinto dalle Alpi ma è potuto tornare sulle montagne trentine per scelta dell’uomo, grazie al progetto Life Ursus del 1996. Il progetto, finanziato dall’Unione Europea e promosso dal Parco Naturale Adamello Brenta, aveva la finalità di reintrodurre l’orso bruno nei territori alpini e veniva definito «il più ambizioso intervento di conservazione attiva della fauna mai tentato in Italia». Life Ursus ha preso il via nel 1999 con la liberazione dei primi due orsi e lo scopo di rifondare una popolazione di 40-50 individui. Le cose sono andate bene e già nel 2004 si è registrata la presenza di 50 orsi nell’area interessata. A non funzionare è stata l’impreparazione degli organi amministrativi e l’inosservanza dei protocolli per gestire la convivenza con gli animali.
Ventisei orsi monitorati sono morti entro il 2017, undici sono spariti senza lasciare traccia. E a questo bilancio bisogna aggiungere anche tre esemplari sconosciuti che hanno perso la vita. Due sono stati uccisi per mano pubblica, come ricordato dal Fatto quotidiano: l’orsa Daniza nel 2014, vittima di un maldestro tentativo di narcosi, e KJ2 nel 2017. Sono stati poi firmati ordini di abbattimento nei confronti di orsi che hanno aggredito uomini, come nel caso di JJ4 nei confronti di due cacciatori. In questo caso è stato il ricorso delle associazioni ambientaliste/animaliste e il parere favorevole del Tar a salvare l’orsa. Si tratta di vicende tristi, che hanno evidenziato quanto spiccato possa essere l’antropocentrismo. Gli animali, secondo questa tesi, non hanno lo stesso diritto di esistere degli umani e si dà vita a una lotta impari che si conclude con la loro uccisione.
«L’orso è ovunque una specie simbolo» ha dichiarato Marco Galaverni, Wwf Italia, a Focus «ma è anche una specie in pericolo critico, con solo due popolazioni isolate di poche decine di individui, sulle Alpi e in Abruzzo. È una specie tutelata, ma può diventare “problematica” se l’uomo non si comporta correttamente: per esempio se gli lascia a disposizione del cibo non custodito, che attira gli animali, o se frequenta le zone più delicate del suo areale nei momenti critici per la specie.» La coesistenza, conclude Galaverni, è possibile ma «si costruisce con un’informazione capillare, prevenzione e comportamenti corretti, Ricordando che il rischio zero non esiste ma anche tutelare l’orso significa tutelare l’intero ecosistema».