Le scelte compiute dai vertici europei sulle sanzioni economiche e sugli aiuti militari all’Ucraina, mai così dure e tempestive; la presa di posizione del parlamento di Strasburgo, che ieri ha ascoltato e applaudito commosso l’intervento di Volodymyr Zelensky; il discorso di Mario Draghi e tutto il dibattito che ne è seguito nel parlamento italiano, mai unito e concorde come ieri: tutto sembra indicare una presa di coscienza collettiva e un generale risveglio. Dall’inizio del conflitto, con tutte le sue terribili conseguenze, finalmente possiamo dirlo: c’è qualcosa di nuovo sul fronte occidentale.
Non è un fatto da poco. In passato la guerra ha spesso diviso l’occidente e la stessa Europa. Ora però che la violenza delle armi è arrivata fino ai suoi confini, le cose sono cambiate.
La novità e la forza della reazione corrisponde, per una volta, alla novità e alla gravità della minaccia. L’unità tra i diversi paesi come tra le diverse forze politiche è il risultato di questa acquisita consapevolezza, testimoniata anche dalla svolta storica della Germania, che dice sì all’invio di armi all’Ucraina e all’aumento delle sue stesse spese militari, e no al gasdotto Nord Stream 2 con la Russia, peraltro nel momento in cui il paese è guidato da un cancelliere socialdemocratico e dal governo più di sinistra degli ultimi quindici anni.
Tanto dovrebbe bastare per far capire anche a noi la radicale novità della situazione. È tempo di abbandonare vecchi slogan e riflessi condizionati figli di un’altra epoca. Qui non c’è nessuna guerra fredda, nessuna contrapposizione politico-ideologica, se non nella delirante ricostruzione avanzata da Vladimir Putin per giustificare la sua politica di aggressione. Ed è semplicemente deprimente che a sinistra ci sia ancora chi si faccia abbindolare dalle sue strampalate citazioni di Lenin, senza avvedersi di come lo stesso Putin sia oggi il principale punto di riferimento dell’estrema destra in tutto il mondo.
Confondere la reazione occidentale all’aggressione russa dell’Ucraina con il sostegno americano al golpe in Cile nel 1973, o anche con l’intervento in Iraq di trent’anni dopo, non significa essere di sinistra, significa essere scemi (nella migliore delle ipotesi).
Indipendenza di giudizio e spirito critico sono virtù che vanno sempre esercitate, ma mettersi a discutere delle ragioni della minoranza tedesca nei Sudeti mentre la Germania occupava la Cecoslovacchia non sarebbe stato un esempio né di obiettività né di lungimiranza.
C’è un tempo per ogni cosa. Di fronte alla spaventosa violenza scatenata nel cuore dell’Europa dall’invasione russa, prima di tutto viene l’esigenza di fermare l’aggressore. Prima di ogni altra considerazione viene la necessità di ristabilire il principio secondo cui, nell’Europa di oggi, i confini tra le nazioni non possono essere ridisegnati dai carri armati. Non capire questo semplice concetto, e l’importanza vitale di riaffermarlo tutti insieme, e di farlo adesso, non significa essere di sinistra. Non significa nemmeno essere pacifisti. Significa essere complici.