ProshchayLa guerra in Ucraina vista da un prof di italiano in fuga da Kiev con la famiglia

Taras Lazer ha 33 anni, viveva a Hostomel, vicino la capitale, dove insegnava letteratura italiana. Fino a poco tempo fa pensava che l’invasione fosse impossibile, poi il 24 febbraio è cambiato tutto. Con moglie e figlia ha attraversato il Paese per sfuggire alle bombe e ai militari russi arrivati alla porta di casa

AP/Lapresse

«Quando è iniziata la guerra col mio vicino ridevamo. Non ci sembrava reale. Ora i russi hanno occupato le nostre case». Taras Lazer ha 33 anni e tante passioni diventate lavori: è professore universitario, esperto di letteratura italiana, traduttore, sceneggiatore di documentari, manager e compositore della sua band musicale (Mavka).

Fino a una settimana fa Taras Lazer viveva a Hostomel, una cittadina vicino Kiev, insieme a sua moglie Irina e la loro bambina Anna di quattro anni. «Il mio programma, prima che iniziasse tutto questo, era di tradurre in ucraino grandi autori italiani come Pirandello, Sciascia e Pasolini», dice.

La mattina del 24 febbraio, il primo giorno dell’invasione, tutto è cambiato. «Verso le 6:20 di mattina mi sono svegliato di colpo. Ho visto una chiamata persa da mia zia e una da alcuni giornalisti italiani che conoscevo. Ho capito subito tutto. Ho letto sui giornali dei bombardamenti e ho svegliato la mia famiglia e i miei vicini semplicemente gridando “è iniziata” e tutti hanno capito», racconta Taras, che ricorda l’incredulità di fronte a quello che stava avvenendo: «Col mio vicino scherzavamo, poi abbiamo assistito ai bombardamenti sulla nostra città e abbiamo realizzato che era tutto vero».

Inizialmente Taras non voleva lasciare la propria casa: «Volevo rimanere. Nonostante sentissimo le bombe ogni quarto d’ora, non volevo abbandonare il mio bosco, il mio mondo; poi, mentre ero in giardino, un aereo militare mi è passato sopra a poco meno di 15 metri e ho capito che dovevo salvare me e la mia famiglia».

Con moglie e figlia, Taras si è messo in macchina, e insieme a loro altri tre vicini. Dopo un viaggio lungo sedici ore, fatto di code e strade secondarie, sono giunti a Snjatyn, città vicina al confine con la Romania. Qui la zia di Taras ha ospitato la sua famiglia e poi anche il fratello arrivato da Kiev e i genitori che abitavano nella regione di Kherson.

«Neanche loro volevano andare via. Poi un missile è volato a pochi metri dalle loro teste e hanno preso la nostra stessa decisione», dice Taras, che aggiunge: «Ora nelle nostre case ci sono i russi. Ci sono arrivate foto dei militari russi a due passi da casa mia. È terribile».

Al netto di un quadro drammatico per chi in Ucraina ha – aveva – una vita, dei progetti, delle prospettive, in questi giorni emerge l’orgoglio per la risposta del popolo ucraino alla guerra: «Ci siamo uniti. È scattata una gara di solidarietà. Ieri ho chiamato alla dogana al confine con la Romania per offrirmi come autista per trasportare i beni che gli europei ci stanno inviando, ma mi hanno detto che si era offerta così tanta gente che non c’era bisogno del mio aiuto».

La solidarietà non è l’unica caratteristica che Taras apprezza del suo popolo: «Riusciamo a ridere anche di fronte a una tragedia come questa. Io stesso, ispirato da “Vita è bella” di Roberto Benigni, ho provato a spiegare a mia figlia perché siamo costretti a correre lontano dalle finestre per via delle bombe, l’ho presentato come una gigantesca partita a nascondino. Di fronte alle sue resistenze abbiamo poi deciso di raccontarle la verità e da allora è stata impeccabile».

Ma gli esempi del senso dell’umorismo ucraino non si fermano qui: «Un mio amico, una volta saputo che gli hacker avevano messo online i dettagli delle carte credito degli utenti russi, ha prima provato a inviare denaro alle raccolte fondi pro Ucraina, poi ha acquistato, per conto dei russi, preservativi e vibratori anali. Per prenderli in giro».

Umorismo a parte, il momento difficile comporta decisioni difficili, soprattutto pensando al futuro. «Io voglio rimanere qui – spiega Taras – ma con mia moglie stiamo valutando ogni opzione: forse la cosa migliore è che lei e mia figlia raggiungano l’Europa. Certo, sarebbe molto difficile per me separarmi dalla due persone a cui tengo di più al mondo. Ma un domani non voglio risvegliarmi in un altro Paese pensando di avere abbandonato il mio nel momento del bisogno. Non so usare un fucile. Ma sono pronto a farlo se può essere d’aiuti. Di certo farò tutto quello che posso per aiutare il mio popolo».

L’ultimo messaggio Taras Lazer lo rivolge agli italiani: «Sono deluso e al tempo stesso felice della vostra reazione. Deluso perché per otto anni non avete capito le sofferenze del nostro popolo. Felice perché finalmente di fronte alla guerra avete aperto gli occhi».

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