Geopolitica energeticaPerché la Germania dipende così tanto dal gas russo?

Oltre metà del combustibile utilizzato nel Paese tedesco l’anno scorso veniva dalla Russia: anche la macchina industriale di Berlino dipende dal gas di Mosca, e il problema di riuscire a farne a meno è anzitutto politico

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Per capire quanto la Germania sia dipendente dalle esportazioni di gas russo bastano due dati: circa la metà delle case (cioè oltre venti milioni di abitazioni) sono riscaldate col gas, e oltre il 50% del gas utilizzato sul suolo tedesco nel 2021 veniva proprio dalla Russia. L’uso del gas nelle abitazioni civili è sufficiente a dare l’idea di quanto il sistema di distribuzione sia capillare sul territorio nazionale, ma oltre alle case private ci sono le industrie. Una fetta considerevole della produzione industriale tedesca infatti dipende proprio dal gas importato da Mosca, ed è soprattutto per questo che il governo di Berlino si è dimostrato restio ad applicare alla Russia sanzioni sulle esportazioni di materie prime energetiche.

Il problema è innanzitutto politico. La Germania è il Paese più popoloso d’Europa, oltre ad essere di gran lunga la prima economia del continente e uno stato che, anche grazie alla leadership di Angela Merkel, ha guadagnato credibilità e influenza internazionale. Senza la Germania, per dirla brutalmente, non si può fermare Putin. 

Secondo molti politici e analisti quello di mettere in discussione le importazioni di gas e altri combustibili fossili dalla Russia sarebbe l’unico modo per rendere davvero stringenti le sanzioni verso Mosca. Una mossa che, si suppone, potrebbe riuscire a costringere Putin a trattare (sul serio, si intende). Ma importanti settori dell’industria, del sindacato e della politica tedesca si sono detti contrari. Un caso su tutti: in un’intervista rilasciata a inizio aprile l’industriale tedesco Martin Brudermüller ha detto: «vogliamo distruggere a cuor leggero l’intera economia nazionale che abbiamo costruito in decenni?». L’idea che circola in Germania, insomma, è che l’economia venga prima della politica. Una scelta di segno opposto a quella della frase di Mario Draghi in cui il premier domandava se preferiamo la pace o l’aria condizionata accesa. 

La paura di Berlino è di vedere la propria economia andare in recessione, con tutto ciò che ne consegue dal punto di vista della stabilità sociale e politica. In un certo senso è comprensibile, sono argomenti ragionevoli. Ma questa ragionevolezza può essere colta solo con un certo grado di distacco e di cinismo, che dal punto di vista ucraino suonano invece come sentimenti insopportabili e immorali. Non a caso in diverse manifestazioni di piazza in tutta Europa sono apparsi cartelli che recitano «Putin fa la guerra, la Germania la paga». In un certo senso è proprio così: l’economia russa si basa essenzialmente sulle esportazioni di materie prime energetiche, per le quali la Germania (cioè il primo importatore) versa ogni giorno alle banche russe centinaia di milioni di euro.

Da parte ucraina l’atteggiamento tedesco appare egoista. E questo succede anche per questioni storiche che risalgono alla seconda guerra mondiale: com’è possibile – ci si chiede – che proprio i tedeschi non empatizzino con la causa ucraina? Loro che sono così consci delle atrocità di cui è capace una dittatura sanguinaria ed espansionista, proprio loro oggi tentennano con le sanzioni che servirebbero a fermare un dittatore che invade l’Europa centrale? Per capire la posizione tedesca, però, serve vedere la seconda guerra mondiale proprio dal punto di vista di Berlino. I tedeschi di oggi portano con sé la memoria dei crimini nazisti, ma anche più nello specifico quella dei milioni di morti causati proprio alla Russia. I tedeschi si sentono sì un popolo obbligato a fare i conti con una coscienza collettiva forgiata da un passato dittatoriale, ma i loro sensi di colpa funzionano anche come un debito verso Mosca. 

Torniamo alla dipendenza tedesca verso il gas russo. Quando nasce? E come mai? Negli anni Sessanta, quando in territorio sovietico venivano scoperte grandi riserve di petrolio e gas naturale, la Germania dell’ovest aveva estrema necessità di trovare approvvigionamenti che garantissero le forniture sufficienti alla fase di crescita economica post-bellica. Così tra i due paesi nacque un primo accordo di collaborazione e di scambio economico (la Ostpolitik). Le forniture aumentarono in corrispondenza della crescita economica tedesca: se a metà degli anni Novanta erano 26 miliardi di metri cubi all’anno quelli che dal territorio russo raggiungevano quello tedesco, nel 2020 erano quasi il doppio, ben 43 miliardi. Nel periodo successivo questo accordo si rafforzò ulteriormente anche perché c’era l’idea che fosse utile a mantenere la pace tra il blocco occidentale e quello sovietico, pace che per via della Guerra fredda era in costante pericolo.

L’idea secondo cui per garantire la pace nel vecchio continente servirebbe necessariamente fare affari con la Russia, e garantire a Mosca un ruolo di primo piano nelle forniture energetiche verso l’ovest europeo, è durata decenni. Le ultime cancellerie tedesche l’hanno rafforzata e implementata. Fu durante il governo Merkel che venne inaugurato il gasdotto Nord Stream, quello che oggi permette a Mosca di far arrivare in Germania il gas direttamente dal Baltico, potendo aggirare per la prima volta proprio il territorio ucraino. 

Nonostante questa debolezza tedesca (peraltro condivisa, anche se con numeri diversi, dal nostro paese) il cosiddetto fronte europeo non è stato spaccato dalle sanzioni. Cosa che, possiamo immaginare, Putin si aspettava e auspicava. Le suddette sanzioni intanto, sebbene meno severe di quanto non avrebbero voluto paesi direttamente minacciati da Mosca come la Polonia, stanno già colpendo duramente l’economia russa. Secondo le stime dell’Fmi nel 2022 il governo di Putin affronterà una recessione del -8,5% e un’inflazione triplicata, che supererà il 21%.

 

 

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