Preoccupazione per la situazione contingente, speranza per il futuro, fiducia nel mercato locale e desiderio di rafforzare l’internazionalizzazione. Ma anche un bel fermento di giovani che con il loro lavoro e la loro nuova visione fuori dagli schemi stanno cercando di cambiare le dinamiche classiche del mondo del vino.
Tanta attenzione alla sostenibilità e al rendere anche questa attività umana sempre più leggera per il pianeta.
E infine una bella spinta per dare al vino un suo senso anche in abbinamento ai grandi prodotti del territorio, in una costante sinergia con il cibo che fa bene a entrambi i settori e permette di crescere a intere zone, che così sono sempre più attrattive dal punto di vista turistico ed enogastronomico.
«In vendemmia faccio anche 5mila chilometri, andando su e giù per l’Italia ad aiutare le aziende a curare al meglio le vigne. Perché se tu hai un problema a un braccio e io te lo amputo, magari risolvi il problema ma di sicuro non vivrai bene. E per le viti è lo stesso: vanno curate, per farle vivere meglio e più a lungo, in modo che ci diano frutti sempre migliori», a raccontarci del lavoro di agronomo è Martina Broggio, consulente free lance con la passione per la terra e le viti, che ha fatto della protezione delle piante la sua ragione di vita.
Martina è solo una dei tanti giovani che abbiamo incontrato a Vinitaly, e che ci hanno aperto le porte di una nuova modalità di approccio a questo lavoro. Come lei Marco Florian e Nikolas Juretic, insieme potatori per Simonit&sirch, emozionati (come noi!) in un vigneto dell’Alto Adige di fine ‘800: «Queste piante hanno visto due guerre mondiali, generazioni di contadini che le hanno potate e curate, stagioni che sono cambiate e clima impazzito. Hanno resistito perché l’uomo se ne è preso cura, e con il sistema di potatura giusto avranno ancora tanti anni davanti. Se preserviamo le piante tagliandole nel modo corretto regaliamo anni alle viti e regaliamo a noi uva e quindi vino migliori». Lavorano uno in Italia e uno in Germania, uniti dalla stessa azienda che da anni sta cercando di far cambiare il modo di potare le piante, provando a restituire equilibrio e vitalità ai vigneti e ad allungarne la vita.
Ma non è solo in vigna che i giovani stanno ridefinendo i canoni di lavoro: in cantina arrivano le giovani generazioni e anche le piccole imprese di famiglia cambiano. È il caso di Luca Cantamessa, faccia pulita e piglio deciso, enologo di casa che segue le orme del bisnonno e desideroso di dare una svolta al Monferrato che lo ospita. «La Barbera è uno spettacolo, dovete assaggiarla. Quella dove siamo è la zona migliore al mondo per dare la Barbera perfetta, e io cerco di fare la più buona di tutte! Abbiamo scelto di cambiare passo e di farvi capire come questo vino possa combattere ad armi pari con i suoi vicini più blasonati: la sfida è farci conoscere al punto da farci venire a cercare». Scherza e sorride, consapevole che serviranno anni e investimenti, ma la convinzione è tutt’altro che peregrina, e anzi la sua determinazione ci porta a credergli e il vino che assaggiamo gli dà ragione. Le nuove etichette con le illustrazioni degli insetti che popolano i vigneti e una strategia più decisa nella comunicazione sono gli altri tasselli della sua svolta felice nell’azienda di famiglia.
Gli fa il pari Giorgio, enologo di casa alla Franco Ivaldi di Cassine, anche lui votato a cambiare le cose: «Abbiamo provato a vinificare secco il Brachetto, ed ecco qui Acqui, un rosato sorprendente» e nel bicchiere la sorpresa c’è davvero, ed è fresca e aromatica, perfetta per un aperitivo nelle sere d’estate.
Enologia al femminile per Villa Bellini, con Erica Preosto, anche lei giovane e anche lei vocata al buono e al bello, nella tenuta che fu di una grande signora del vino, Cecilia Trucchi, visionaria al punto tale da coltivare in biodinamico quando questa non era che una illusione in mano a pochissimi sognatori. Oggi le vigne sono “pure”, e longeve, e Erica insieme all’enologo consulente Enrico Nicolis, entrambi allievi del professor Ferrarini, innovatore che ha contribuito alla rinascita dell’Amarone, possono arrivare in cantina a fare il meno possibile: «Perché questo Valpolicella Superiore è frutto e terroir, non c’è altro», e l’eleganza e la setosità di questo liquido prezioso nel bicchiere ci dà la conferma di quanta sapienza c’è nelle parole e nelle azioni di questi ragazzi che stanno ricostruendo il settore a colpi di competenza, studi, scambi con l’estero e freschezza di pensiero.
La stessa freschezza che dimostra a ogni incontro Francesca Martellozzo, che nell’azienda di famiglia Bellussi sta davvero dettando il nuovo corso, sotto lo sguardo complice del padre che sostiene le idee sue e del fratello Giovanni, giovanissimi eppure già ben consapevoli delle sfide da cogliere. Bollicine come stile di vita, Prosecco come prodotto da valorizzare ma anche da rendere più adatto al consumo leggero e spensierato, esattamente come il sorriso di Francesca: ecco allora la scelta delle mini bottiglie, un nuovo modello commerciale ma anche l’idea di un approccio meno serioso e più dinamico di questo mondo che – forse – nel tempo si è davvero preso troppo sul serio. Il packaging cambia, non cambia il contenuto, che è sempre fatto comme il faut ma lascia spazio al piacere più che alle note di degustazione per esperti.
Quello che ancora manca ma che nella 54esima edizione della più importante fiera italiana abbiamo visto in nuce? Spazio e racconto per le innumerevoli professioni laterali al settore, tante e diversificate, ancora troppo poco valorizzate a discapito della narrazione esasperata e iper tecnica di quel che sentiamo (o millantiamo di!) nel bicchiere.
Nel Vinitaly che vorremmo, speriamo ci sia più spazio per gli agronomi, per gli enologi, per i potatori e per i commerciali, per i distributori e per chi fa la vendemmia, per chi imbottiglia, per chi costruisce botti e anfore, bottiglie e tappi, per i designer di etichette e per i copy dei siti. Per chi questo vino che tanto esaltiamo lo fa, lo vende e lo racconta nel mondo: che ci può spiegare davvero una storia più ampia, più appassionante e diversificata. E ci può aiutare a comprendere meglio quanto questo prodotto possa essere al centro di un racconto circolare, particolare, identitario della nostra produzione nazionale. E magari riesca a far venire voglia a sempre più giovani di andare al di là delle apparenze e delle mode, e di scoprire quali e quante opportunità ci sono per lavorare con soddisfazione in un ambito così entusiasmante.