Ma dov’è finito il centro riformista che a un certo punto era parsa una possibilità politica di tipo nuovo? Manca un annetto alle elezioni e non si scorge nemmeno all’orizzonte il formarsi di un’offerta politica diversa da quella dei due poli, peraltro parecchio scombiccherati, sia a destra che a sinistra.
Eppure questo potenziale centro riformista aveva dato interessanti segni di vita all’epoca della nascita del governo Draghi, che si formò anzi soprattutto per iniziativa di Matteo Renzi, e in seguito con la buona affermazione di Carlo Calenda alle comunali di Roma. Ma quest’area non nacque nemmeno all’epoca della battaglia sul Quirinale quando in Parlamento avrebbe potuto prendere corpo una super-componente Italia viva-Forza Italia-PiùEuropa-Azione-singoli parlamentari di centro.
Per alcuni giorni non si parlava d’altro nella convinzione non peregrina che né Salvini né Letta avessero le chiavi per sciogliere il rebus. Matteo Renzi in verità fu protagonista di quelle giornate, bombardando prima la candidatura di Franco Frattini, poi quella di Maria Elisabetta Casellati e poi soprattutto quella di Elisabetta Belloni, inopinatamente messa in campo dal duo Salvini-Conte. Ma Renzi puntava tutto su Pierferdinando Casini, non accorgendosi che nel frattempo stava maturando in Parlamento la scelta più forte, quella, come sappiamo, che portò al bis di Mattarella.
Da allora non si è più sentito nulla. Da Renzi, Calenda, Bonino qualche piccola iniziativa sulla legge Cartabia e sulla tassazione degli extra profitti e le solite e le ormai stucchevoli bacchettate tra tifosi opposti su Twitter: e questo mentre infuria la peggiore guerra europea da decenni a questa parte! È come se i leader di quest’area fossero presi da un “incantamento” ma negativo, a differenza di quello agognato da Dante, tale da produrre un’afasia che sta diventando inquietante: nessun particolare slancio, a differenza di un anno fa, verso il governo Draghi, nessuna iniziativa concreta verso il Pd di Enrico Letta, zero sforzi per parlarsi tra di loro, e questo sta diventando grottesco.
Il problema a noi pare riguardi soprattutto un Renzi che sembra attanagliato dai suoi problemi personali e improvvisamente sprovvisto di quella fantasia politica che anche gli avversari gli riconoscono, mentre Calenda almeno si fa sentire, pur nel suo stile polemico che finirà per alienargli potenziali simpatie. In Parlamento i renziani ci sono e lavorano ma nel Paese il loro partito è come se non ci fosse, nonostante i banchetti della settimana scorsa e i convegni sul presidenzialismo. Ma, ripetiamo, la cosa è tanto più sconcertante tenuto conto dell’emergenza mondiale in corso.
Non sarà forse che il netto posizionamento filoucraino e filoatlantico di Letta ha sottratto a Italia viva uno spazio di intervento? «Letta sta spostando il Pd su una posizione riformista, speriamo che regga», ha detto l’ex premier a Repubblica a proposito delle elezioni francesi, ma è una frase che vale in generale. Dovrebbe essere un chance, per Renzi, e non un problema, il fatto che il Pd “lettiano” – almeno sulla politica internazionale – si sia attestato su una linea non ambigua (come la sinistra di Pier Luigi Bersani, che da Floris martedì sera invocava “una postura” diversa dell’Europa, mentre i russi fanno rappresaglie e stupri), perché normalmente in politica è un successo se un altro partito viene sulle tue posizioni a maggior ragione se quel partito avevi contestato, eccome.
Poi può benissimo darsi che il leader di Italia viva, che ben conosce i suoi polli, ritenga molto incerto l’esito del tentativo di Letta di sottrarlo al massimalismo antiamericano che pure è di casa al Nazareno («speriamo che regga») e dunque preferisca ancora starne alla larga, anche e soprattutto per la persistenza dell’intesa, in verità sempre meno “calda”, tra Pd e Giuseppe Conte. Ma tutto ciò detto, resta aperto l’interrogativo sulle ragioni profonde per le quali quest’area ristagni invece di consolidarsi e sparisca dai radar e non solo dai talk show ma proprio dal discorso pubblico.
Renzi ieri ha detto che «Italia viva ha l’ambizione di essere la casa della politica, non del populismo. Se è vero che c’è bisogno di più di riflessione, proviamo, anche sui temi che richiedono fatica, sforzo, che pongono sfide sul domani. Continueremo a discutere facendo prevalere le ragioni della politica come stiamo facendo su alcuni temi come la giustizia o il fisco, ma anche sull’elaborazione culturale». Vedremo.
Ma questo non cancella l’inerzia di questi mesi, e la questione riguarda non solo Italia viva, Azione e +Europa ma anche quel pezzo di Forza Italia rappresentato dalle posizioni più avanzate e lontane dal sovranismo come quelle di Mara Carfagna, Renato Brunetta, Andrea Cangini, Mariastella Gelmini, ritiratisi sull’isola governativa lasciando la leadership del partito a Antonio Tajani e alla gens legata al redivivo Silvio Berlusconi, il “deluso da Putin”: è chiaro che l’aria di elezioni già spira e consiglia di riporre le armi della polemica interna in vista di riconferme nelle liste ma questo non basta a spiegare l’esaurimento di qualunque riflessione pubblica.
Ecco dunque che in una situazione nella quale il mondo sta cambiando ed è in corso una durissima lotta per orientare questo cambiamento e l’Italia si appresta ad un’ennesima pesante fase economica e sociale, proprio quando il crinale della storia diventa così misterioso e incerto, ecco che le forze che si richiamano al riformismo appaiono impaurite, pigre, silenti, lasciando che prevalgano le urla di massimalisti, negazionisti, sfascisti di ogni di risma. Ed è un’altra stranezza, questo “incantamento” negativo, non l’unica ma la più indecifrabile della vicenda politica nazionale.