La linea atlanticaLa fermezza antiputiniana e antipopulista di Enrico Letta

Sulla guerra il leader dei dem ha deciso di mantenere una posizione chiara al fianco dell’Ucraina. Ma, anche senza guardare troppo i sondaggi, sa di non poter lasciare il monopolio della parola “pace” ai sedicenti neutralisti. Intanto, anche Giorgia Meloni mostra di conoscere i vantaggi di lungo termine di una scelta atlantista

Mauro Scrobogna/LaPresse

Questa di ieri di Enrico Letta alla trasmissione di Lucia Annunziata “Mezz’ora in più“ è un’affermazione che non si sente spesso dai politici italiani: «C’è chi mi dice che perdiamo voti con questa posizione così netta sulla guerra di Putin. I voti si perdono e poi si possono riguadagnare. La dignità no, una volta persa non la riprendi più. E la credibilità di un’idea politica si basa sulla dignità delle scelte». La dignità prima di tutto, una volta persa è persa per sempre. A costo di finire in minoranza.

È probabilmente la frase più antipopulista da anni a questa parte, l’altra faccia della politica gialloverde che ha puntato esclusivamente sulle pulsioni, anche le più ferine, della “gente”: il che non vuol dire elitarismo o vocazione minoritaria («i voti si possono riguadagnare») ma anzi investimento su dignità e coerenza. «La politica ha bisogno di scelte lunghe e non legate al consenso immediato», ci ha detto la stessa Annunziata dopo la trasmissione, «e questo lo diciamo sempre, poi però calcoliamo i voti che porta o non porta? Mi pare che Letta sia coerente e che ci abbia messo la faccia».

Ora, ognuno può pensarla come vuole, nel merito della guerra di Putin, ma nessuno può negare che più di ogni altro è il segretario del Pd ad averne fatto una clamorosa cifra identitaria, probabilmente con una forza personale che ha trascinato l’intero Pd, tradizionalmente sempre cautissimo, in una battaglia politica di prima grandezza. E in effetti la domanda, cruda nella sua rozzezza, se Kiev porti voti oppure ne tolga vale soprattutto, appunto, per il partito che più si è esposto a fianco dell’Ucraina.

Evidentemente Letta investe sulla nettezza della posizione su un tema crucialissimo come quello pace-guerra non in astratto ma in relazione a una nuova condizione storica che l’aggressione russa determinerà, dunque guardando in prospettiva. Forse già pensa a un dopoguerra, a un nuovo ordine mondiale da cui sia (relativamente) bandito l’uso della forza mediante il rafforzamento dell’Unione europea e del suo legame atlantico con un forte ridimensionamento di Mosca; e riafferma una visione della politica come intimamente legata ai valori, magari meno pragmatica, utilitarista e “cinica” della visione dossettiana, prodiana, bindiana (e in un certo senso, ma qui il discorso è complesso, bergogliana) e più vicina al cattolicesimo democratico di De Gasperi e Andreatta, Montini e in parte Moro. Distante dal “pacifismo imbelle”. Quanto – viene da chiedersi – questa visione “parla” all’elettorato più largo del centrosinistra?

«Difficile dirlo», ci risponde il sondaggista Lorenzo Pregliasco (YouTrend), «quello che sembra certo è che la nettezza di una posizione aiuta a compattare, difficilmente a espandere». E nemmeno è certo che compatti i suoi: non c’è forse un pezzo di sinistra su posizioni, diciamo così, tutt’altro che nette a favore degli ucraini? È difficile quantificare quanto peso abbia quella certa sinistra che accusa Letta di essersi messo l’elmetto nelle retrovie degli americani, e che in teoria potrebbe togliergli qualche consenso anche se per ora dentro il Pd non si avvertono spifferi di questo tenore: e tuttavia lo stesso Letta, senza deflettere dalla sua posizione, si sta rendendo conto che la parola “pace” non va regalata a negazionisti, neutralisti, putiniani e anche pacifisti in buona fede, e quindi è possibile che nei prossimi giorni aggiusterà un po’ il messaggio. «In questa fase a me sembra che questa linea ferma porti dei vantaggi», dice a Linkiesta Maurizio Pessato, di Swg, «perché anche chi coltiva dubbi alla fine preferisce chi sceglie e offre un riferimento chiaro. Poi certo dipenderà da come evolverà tutta la situazione».

Un’ultima considerazione porta a dire che la sua personale corsa a palazzo Chigi non sia ipotizzabile senza un allineamento convinto alla posizione della Casa Bianca, in queste ore in ambasce per una eventuale ascesa di Marine Le Pen all’Eliseo: perdere anche Roma sarebbe un altro scacco per l’Occidente liberale e democratico e per gli stessi Stati Uniti alle prese con un probabile ritorno di Donald Trump. Questo è talmente vero che lo ha ben compreso Giorgia Meloni, schierata contro Putin proprio per la ragione (o anche per la ragione) di non entrare in rotta di collisione con l’America di Joe Biden. La ricetta antipopulista del segretario del Pd è da apprezzare per chi ritiene indispensabile chiudere con la stagione dell’antipolitica e della politica effimera. Solo che nessuno sa se, da questo punto di vista, l’aria si veramente cambiata. Non lo sa nemmeno Enrico Letta, d’altronde.

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