Francesco Boccia sembra ormai l’ultimo dei Mohicani nell’esaltare il modello del campo largo basato sull’alleanza tra Partito democratico e Movimento 5 stelle, un’alleanza che sta franando da tutte le parti e rendendo improvvisamente il Pd egemone, nel senso buono del termine, forse proprio perché libero dai lacci e lacciuoli che lo legavano ai grillini.
Quanto a Boccia, è rimasto allo schema bettiniano in vista delle amministrative parziali che si terranno (primo turno) il 12 giugno, tra dunque poco più di due mesi, ma la realtà è che si tratta di una grande illusione. Un abracadabra da prestigiatore dilettante, un gioco delle tre carte come agli angoli dei vicoli della Napoli di una volta.Primo, perché non ovunque, anzi quasi mai, correrà il campo veramente largo data l’incompatibilità tra grillini e Azione-Italia viva (senza contare che addirittura a Palermo e forse Genova Carlo Calenda e Matteo Renzi andranno ognuno per conto suo).
Ma il punto vero è che il M5s non esiste, o quasi. Tanto per dire, non ha nessun candidato sindaco nei 4 capoluoghi di regione chiamati alle urne (Genova, Palermo, L’Aquila e Catanzaro). E non c’è un solo esponente del M5s a correre da sindaco nemmeno nei 22 capoluoghi di provincia (ci sono città importanti, tra cui Verona, Padova, Parma, Taranto, Alessandria, La Spezia, Lodi, Monza, Frosinone, Gorizia).
Il fatto è che sul territorio il grillismo è finito. Niente dirigenti significativi, pochi militanti: l’epoca di Virginia Raggi, Filippo Nogarin e Chiara Appendino, sembra avanti Cristo. Messi alla prova, quei tre sindaci fallirono alla grandissima, seppellendo per sempre le velleità grilline di governare dal basso. Per cui il succo è che candidati del Pd, o di area, vinceranno (o perderanno) da soli.
Malgrado la fede di Boccia nell’alleanza strategica con il partito dell’avvocato, col quale a livello nazionale il rapporto è ormai deteriorato a partire da una bazzecola come la guerra e la politica di difesa, nelle città al voto giustamente i dem si sono preoccupati di trovare candidati credibili più che seguire lo schemino in voga al Nazareno nell’era del Conte punto di riferimento fortissimo dei progressisti.
D’altra parte, malgrado le riforme organizzative promesse a suo tempo dall’ex capo politico Luigi Di Maio, il Movimento non è riuscito per nulla a mettere radici sul territorio: ed è per questo, oltre che per cause politiche generali, che lo stesso Di Maio (come abbiamo scritto ieri) si attende una scoppola micidiale per il M5s in termini di voti di lista, una batosta che intende addebitare per intero a Giuseppe Conte chiedendone le dimissioni da presidente del partito.
Dal lato del Pd c’è da osservare che in queste amministrative non ha uno schema forte di alleanze.Se quella con i residui grillini è una specie di finzione, nemmeno questa occasione servirà a rinsaldare con forza i rapporti con i riformisti di Azione e Italia viva con i quali non si registrano novità particolari: sul piano nazionale nemmeno la causa ucraina ha rappresentato un’occasione di riavvicinamento.
Ora, anche grazie alle difficoltà della destra, puntualmente litigiosa quando si tratta di soddisfare appetiti locali, a due mesi dal voto il Pd appare messo abbastanza bene e molti prevedono che sarà il vincitore della prossima tornata elettorale. Ma è bene dirlo sin d’ora: stiamo parlando del Pd e della sua area, non di una alleanza formale con un movimento fantasma chiamato M5s.