Non si sa se dietro il “pacifismo gialloverde” ci sia direttamente la mano di Vladimir Putin ma quello che è certo è che gli orientamenti filorussi ora hanno un terminale politico: Giuseppe Conte e Matteo Salvini.
Le posizioni sempre più rigide in senso antigovernativo di Conte rappresentano di fatto la proiezione politico-parlamentare della sottile linea rossa che il Cremlino sta disegnando in giro per il mondo con l’obiettivo di indebolire il fronte pro-Ucraina, pro-armi, pro-sanzioni.
Ieri il capo della Lega si è messo in scia evocando «un tavolo» di tutti i leader «per discutere di pace», un modo soft per opporre il “pacifismo” alla politica decisa dal governo e dal Parlamento. I gialloverdi tornano all’attacco di Mario Draghi ripescando il loro antico sodalizio, forti anche del disorientamento di parte dell’opinione pubblica a causa del network anti-Kiev, che la fa da padrone nei talk show. Sicché non è fantapolitica ipotizzare che il Cremlino possa ricevere un insperato aiuto da parte di Conte e Salvini, la cui azione coordinata può tornare molto utile per indebolire l’Italia, che da sempre Mosca considera l’anello debole dell’Occidente.
Pertanto è giusto chiedersi dove può portare questo inizio di rupture sulla politica estera messo in atto dai capi di M5s e Lega e che prelude a una dissociazione aperta dalla linea che il governo italiano intende portare avanti sin dal prossimo decreto, che – come ha già precisato il ministero della Difesa – prevederà l’invio di armi «della stessa natura della precedente tranche di aiuti». Il tutto per la gioia dei conduttori dei talk show, che si contendono decimali di punto di share proprio grazie agli ospiti russofili presenti in gran numero in tutte le trasmissioni. E se alcuni programmi di La7 sono in questo scatenati, non si comprende davvero come una trasmissione del servizio pubblico come “Cartabianca” possa ogni santo martedì propagandare le tesi del Cremlino senza che i vertici dell’azienda richiamino la conduttrice a un po’ più di serietà.
Di fatto il network putiniano non lo ferma nessuno. Dal Fatto Quotidiano alla Verità agli imbarazzanti ospiti antiamericani su La7 e da Bianca Berlinguer, dall’iniziale posizione dell’Anpi, leggermente corretta anche per le opposizioni interne alla linea di Gianfranco Pagliarulo, a quelle della Cgil, non c’è dubbio che il vero mainstream oggi appaia più quello del falso neutralismo cremlinofilo che quello della posizione assunta dal nostro Paese di sostenere la Resistenza Ucraina con tutti i mezzi. Forse è per questo che da qualche giorno Sergio Mattarella ha intensificato le sue inequivocabili prese di posizione contro la guerra di Putin, come se avvertisse la necessità morale e politica di tenere ferma la barra su una questione che non dovrebbe ammettere esitazioni.
Rileggiamo le parole pronunciate ieri a Strasburgo dal Presidente della Repubblica: «L’Italia è pronta ad eventuali altre sanzioni senza alcuna esitazione». È una implicita, nettissima risposta all’avvocato del populismo diventato estemporaneo predicatore “pacifista” che dice sì all’invio di armi difensive e non offensive, secondo una distinzione che in realtà equivale a dire che l’esercito ucraino non può “offendere”, cioè tentare di riprendere i territori perduti. Ha detto ancora Mattarella: «Non si può arretrare dalla trincea della difesa dei diritti umani e dei popoli. La ferma e attiva solidarietà nei confronti del popolo ucraino e l’appello al governo della Federazione Russa perché sappia fermarsi, ritirare le proprie truppe, contribuire alla ricostruzione di una terra che ha devastato, è conseguenza di queste semplici considerazioni».
È un Mattarella “di lotta”, questo che quasi tutti i giorni parla contro l’invasione russa immaginando che i gialloverdi sfrutteranno qualsiasi luogo comune pur di ostacolare un Mario Draghi che ieri ha sentito nuovamente Zelensky e il 10 andrà a Washington da Joe Biden. L’antiamericanismo dunque sta tracimando dai talk show alla politica e c’è da chiedersi se il progetto non sia stato coltivato da tempo.
La connection editoriale forse non è stata costruita a tavolino ma di certo è un dato di fatto, se uno come Alessandro Orsini, il volto televisivo del putinismo italiano e “firma” del Fatto, è arrivato a dire che «per fortuna esiste La Verità. A volte mi sento risollevato, quando leggo La Verità è uno di quei momenti» e in effetti non è facile distinguere un articolo di Marco Travaglio da uno di Francesco Borgonovo: tutti solleticano gli eterni umori antimericani di destra e di sinistra, dai neofascisti che vedono nella Russia il bastione contro un’Occidente decadente alla vecchia sinistra settantasettina ben rappresentato dalla professoressa Donatella Di Cesare, all’epoca giovane militante del “Movimento”.
Con la discesa in campo soprattutto di Conte e poi di Salvini su posizioni filorusse o anche latamente tali è giusto temere per la solidità del governo e, più in generale, è legittimo chiedersi se l’Italia possa diventare un punto debole dello schieramento mondiale a favore della Resistenza ucraina. Per fortuna ci sono Sergio Mattarella e Mario Draghi a governare la nave, ma turbolenze serie sono in arrivo.