L’orrore di Bucha, la devastazione di Mariupol, l’insensatezza di una guerra che sta facendo vittime in ogni angolo dell’Ucraina anche tra donne e bambini. Le atrocità russe hanno portato a una rinnovata condanna verso il Cremlino. «Genocidio», è il termine usato dal presidente ucraino Volodymyr Zelensky.
Anche il presidente americano, Joe Biden, ha detto che quanto accaduto a Bucha è stato un crimine di guerra e che Vladimir Putin dovrebbe andare incontro a un tribunale internazionale per quello che ha fatto. Mentre il segretario generale dell’Onu Antonio Guterres ha chiesto un’altra indagine, oltre quelle già in corso. L’ex procuratore capo delle Nazioni Unite per i crimini di guerra in Jugoslavia e Ruanda, Carla del Ponte, ha definito Putin «un criminale di guerra» e ha chiesto che fosse emesso un mandato d’arresto internazionale contro di lui.
Il quadro che si sta delineando sui crimini di guerra russi diventa sempre chiaro. Anche Human Rights Watch ha rilevato diversi casi di violazioni delle leggi di guerra da parte delle forze militari russe contro i civili nelle aree di Chernihiv, Kharkiv e Kiev.
Il report della Ong parla di stupro ripetuto, due casi di esecuzione sommaria e altri casi di violenza illegale e minacce contro civili nel periodo che va dal 27 febbraio al 14 marzo. «Coloro che hanno compiuto questi abusi sono responsabili di crimini di guerra», scrive Human Rights Watch.
Hugh Williamson, direttore per l’Europa e l’Asia centrale dell’organizzazione dice che «omicidi e altri atti violenti contro persone sotto la custodia delle forze russe dovrebbero essere indagati come crimini di guerra». Lo scorso 27 febbraio, nel villaggio di Staryi Bykiv nella regione di Chernihiv, le forze russe hanno radunato almeno sei uomini e li hanno giustiziati. Il 4 marzo, invece, un soldato russo ha minacciato di giustiziare un uomo di 60 anni e suo figlio a Zabuchchya, un villaggio a nord-ovest di Kiev, dopo aver perquisito la loro casa e aver trovato un fucile da caccia e benzina nel cortile di casa. La testimonianza è arrivata proprio da parte dell’uomo.
«Le prove dal campo di battaglia confermano che i russi hanno commesso almeno tre tipi di reati in guerra», scrive l’Economist. I primi, si legge, sono quelli che definiamo crimini di guerra: le Convenzioni di Ginevra, che la Russia ha firmato, definiscono i crimini di guerra – omicidio volontario, causare intenzionalmente grandi sofferenze, prendere di mira deliberatamente i civili e appropriarsi delle loro proprietà. In questa categoria rientrano anche le esecuzioni sommarie a Bucha e il bombardamento del teatro Mariupol, che era il più grande rifugio antiaereo della città.
Le Convenzioni di Ginevra determinano quali sono gli obblighi legali internazionali in tutte le azioni militari. Non importa che la Russia non abbia formalmente dichiarato guerra all’Ucraina: doveva rispettarli ugualmente.
In secondo luogo, l’invasione della Russia è stata essa stessa un crimine, indipendentemente dal modo in cui è stata eseguita: è un crimine di aggressione secondo gli statuti della Corte penale internazionale (International Criminal Court, Icc) che processa le persone secondo il diritto internazionale. Per la Corte nel termine “aggressione” rientrano l’invasione, l’occupazione militare, l’annessione di terre, i bombardamenti e il blocco dei porti.
Infine, terzo e ultimo punto, la portata delle azioni russe intorno a Kiev (e altrove) suggerisce che la Russia sia colpevole di crimini contro l’umanità: la Corte penale internazionale definisce i crimini contro l’umanità come partecipazione e conoscenza di «un attacco diffuso o sistematico diretto contro qualsiasi popolazione civile».
A oggi migliaia di ucraini sono stati uccisi e oltre 4 milioni sono stati costretti a fuggire.
Alcuni procedimenti legali sono già partiti e hanno portato i vertici russi dinanzi ai tribunali internazionali. Sono già arrivate due sentenze a favore dell’Ucraina. Nella prima, il 16 marzo, la Corte internazionale di giustizia (il Tribunale dell’Aja), che si pronuncia sulle controversie tra Stati, ha stabilito che la Russia «dovrebbe sospendere immediatamente le operazioni militari» iniziate il 24 febbraio.
La questione verte sulla definizione usata dalla Russia quando ha iniziato l’invasione: Putin l’ha definita come «un’operazione speciale» per prevenire «un genocidio» nelle regioni separatiste di lingua russa. L’Ucraina si è difesa dicendo che la definizione era falsa ai sensi della Convenzione sul genocidio delle Nazioni Unite. E la Corte internazionale non solo ha dato ragione a Kiev, ma con la sua sentenza ha chiesto il pieno ritiro della Russia.
L’altra sentenza è arrivata alla Corte europea dei diritti umani, che fa parte del Consiglio d’Europa – l’organismo internazionale che ha l’obiettivo di promuovere la democrazia, i diritti umani, l’identità culturale europea. Il 1° aprile ha confermato una precedente sentenza secondo cui la Russia deve «astenersi da attacchi militari contro civili e oggetti civili, comprese scuole e ospedali».
Anche in questo caso, la Corte ha accolto i termini dell’Ucraina ne ha ampliato il significato, aggiungendo che la Russia ha commesso una violazione quando ha costretto i rifugiati di Mariupol a fuggire in Russia, piuttosto che in un luogo di loro preferenza.
«Ma un conto è pronunciarsi, un’altra è portare davanti a una corte internazionale una persona russa, per non parlare delle difficoltà di portarci il suo Capo di Stato», si legge sull’Economist. Incriminare la Russia e Putin, infatti, è tutt’altro che semplice.
La Russia è stata espulsa dal Consiglio d’Europa il 16 marzo e ha smesso di rispondere alle richieste della Corte europea. E dal 2016 non riconosce l’autorità della Corte penale internazionale: questo non vuol dire che il tribunale non emetta mandati di arresto contro i principali responsabili di queste atrocità. Ma tali azioni richiederebbero al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite di deferire la Russia alla corte e la Russia porrebbe il veto.
La Russia accetta l’autorità della Corte internazionale di giustizia, il Tribunale internazionale dell’Aja, l’, almeno in teoria. Nei fatti, però, non si è presentata alle udienze del tribunale. Come per la Corte penale internazionale, anche in questo caso l’unico modo per far rispettare le sentenze della è attraverso il consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. «Se Putin rimane al potere – scrive l’Economist – o anche se si dimette ma continua a essere protetto dai suoi successori, la giustizia internazionale non si avrà grande efficacia».
È molto probabile che procedimenti legali vadano avanti e infliggano ulteriori battute d’arresto alla causa legale e alla posizione diplomatica della Russia. Nel frattempo, gli alleati dell’Ucraina dovranno trovare altri mezzi per aumentare la pressione su Putin: da qui l’idea di molti europei di insistere sulle sanzioni e l’invio di armi all’Ucraina.