Ha ragione Francesco Cundari: «C’è un salto di qualità, ma soprattutto c’è un abisso morale che separa le discussioni sulla guerra in Ucraina da tutte le precedenti, per quanto grottesche potessero essere pure quelle». Soprattutto non riesco a capire come si possa essere o essere stati, nel corso della vita, di sinistra e stare, oggi, dalla parte di Putin.
Perché è quanto succede – anche se si ammette che la Russia è l’aggressore – quando – cito ancora Cundari – quando l’oggetto della contesa riguarda l’invasione di un Paese libero e democratico, quando cioè il dibattito si svolge mentre sono in corso stermini, torture, stupri di massa e in tanti vanno «in tv ad accusare chi vorrebbe fermare tutto questo di non volere la pace e mettere a rischio il dialogo con i torturatori». Quando si va alla ricorda disperata di spiegazioni, di altrui responsabilità per poter invocare la pace all’insegna del né-né.
Eppure basterebbe leggere ciò che ha detto la Zar del Cremlino, il 22 febbraio, nel discorso che si è tradotto nella dichiarazione di guerra all’Ucraina. In più di 3,6mila parole l’acronimo Nato non compare neppure una volta; e neppure le parole «minaccia» e «accerchiamento». Un’altra grande assente è la definizione «nazista» (si parla solo una volta di «neonazismo aggressivo»).
Putin accusa gli ucraini di nazionalismo. Ed è veramente difficile capire perché le traduzioni in italiano si arroghino il diritto di passare sopra a una differenza di grande rilievo come questa. Come si diventa nazisti nel XXI secolo? Non c’è traccia di propaganda antisemita in Ucraina, anche perché il tributo di dolore e di morte che quel Paese ha dato alla Shoah è tra i più elevati e crudeli.
La dottrina di Putin è stata spiegata più volte: l’Ucraina non è una nazionalità autonoma ma è parte della Russia ed è giusto che la Grande Madre torni a riprendersela, anche perché gli ucraini dal Maidan in poi hanno fatto i furbi giocando su due tavoli, mostrando una colpevole ingratitudine nei confronti degli aiuti di cui la Russia era stata prodiga.
Il dialogo con la Federazione russa sarebbe stato usato «come merce di scambio nelle sue relazioni con l’Occidente, usando la minaccia di legami più stretti con la nostra nazione per ricattare l’Occidente allo scopo di assicurarsi preferenze», affermando che altrimenti la Russia avrebbe avuto un’influenza maggiore in Ucraina. In sostanza i cattivi ucraini avrebbero strumentalizzato anche l’Occidente.
Poi il discorso si conclude con le critiche alla gestione dell’economia, mentre «la cosiddetta scelta di civiltà filo-occidentale operata dalle autorità oligarchiche ucraine non era e non mira a creare condizioni migliori nell’interesse del benessere delle persone ma a trattenere i miliardi di dollari che gli oligarchi hanno sottratto agli ucraini, i quali tengono i loro conti in banche occidentali (come fanno gli oligarchi russi, ndr) mentre assecondano con riverenza i rivali geopolitici della Russia».
A pensarci bene la requisitoria di Putin non è altro che la versione laica della crociata del Patriarca di Mosca Kirill. In sostanza gli ucraini vanno rieducati; e questo è un compito che spetta alla Madre Russia, custode dei valori e delle tradizioni di secoli di storia. Ai putiniani a loro insaputa che frequentano le fumerie di oppio dei talk show è bene far notare alcuni passaggi del discorso fortemente critici nei confronti del Pcus e dell’Urss.
Secondo Putin «l’Ucraina sovietica è il risultato della politica dei bolscevichi e può essere giustamente chiamata l’Ucraina di Vladimir Lenin. Egli ne fu il creatore e l’architetto». Ma c’è di peggio: «Nel corso della lotta per il potere all’interno dello stesso Partito Comunista (è trascorso un secolo, ndr), ciascuno degli opposti schieramenti, nel tentativo di espandere la propria base di sostegno, ha iniziato a incitare e incoraggiare sconsideratamente i sentimenti nazionalisti, manipolandoli e promettendo ai loro potenziali sostenitori qualsiasi cosa desiderassero».
Sappiamo che Putin ha archiviato la Rivoluzione di Ottobre che si celebrava con grande sfarzo di armamenti e di delegazioni e l’ha sostituita con la ricorrenza del 9 maggio, giorno della vittoria nella Grande Guerra patriottica. Ma lo Zar va oltre nel rivendicare la ricostruzione dell’Impero. Nel testo vi è una critica radicale all’umiliante (sic!) Trattato di Brest-Litovsk, con il quale la Russia, dopo la caduta del regime zarista, negoziò una pace separata con gli Imperi centrali uscendo così dal conflitto «nonostante la situazione militare ed economica della Germania del Kaiser e dei suoi alleati fosse drammatica e l’esito della Prima Guerra Mondiale fosse scontato».
In sostanza la Russia rivoluzionaria avrebbe dovuto continuare a combattere a fianco dei Paesi capitalisti. E qui c’è un altro atto d’accusa contro Lenin e compagni. «Dopo la rivoluzione, l’obiettivo principale dei bolscevichi era quello di rimanere al potere a ogni costo, assolutamente a ogni costo». Fecero di tutto a questo scopo soddisfacendo qualsiasi richiesta e desiderio dei nazionalisti all’interno del paese.