Campo dei fioriÈ tempo di andar per erbe

Il foraging è pratica antichissima e cucinare usando ciò che spontaneamente ci regala la natura può diventare un’abitudine molto divertente e salutare, dato che quasi sempre queste piante hanno proprietà medicinali

Le piante edibili spontanee, per usare il loro nome ufficiale, un tempo regnavano in cucina e conoscerle e usarle significava seguire il corso delle stagioni. Oggi a questo si aggiunge il piacere di un’alimentazione varia e strettamente legata al territorio, con ingredienti che si possono raccogliere di persona durante una passeggiata all’aperto e non tra le corsie di un supermercato. O anche lì, dato che la grande distribuzione comincia a proporle, opportunamente lavate e incellophanate. Ma, intanto, quali erbe? L’elenco è lungo e cambia con il periodo dell’anno. E così le ricette.

Si inizia con gli asparagi selvatici e con i loro numerosi imitatori. Perché se è vero che i grossi e polposi asparagi del negozio hanno in natura dei parenti più smilzi e selvatici (e anche più gustosi), ideali per frittate e risotti, non tutto ciò che assomiglia a un asparago è tale, anche se quasi sempre è comunque piacevole da mangiare. Ci sono i bruscandoli, nome usato per lo più in Veneto per i germogli del luppolo selvatico, molto simili agli asparagi selvatici come aspetto e come impiego. In Lombardia, giusto per complicare le cose, sono noti come asparagina mentre in Piemonte si chiamano luvertìn, vartìs in Emilia-Romagna, urtizon in Friuli, luperi in Umbria.
Ma anche il pungitopo, la popolare pianta con le foglie spinose e le bacche rosse usata per le decorazioni natalizie, a primavera produce dei turioni molto simili a quelli degli asparagi selvatici e di gusto appena più amaro, motivo per cui si consiglia di lessarli a lungo nell’acqua salata. Si tratta di una pianta a dir poco versatile: in passato si usava legarne dei rametti alle tavole di legno appese al soffitto dove venivano appoggiate le forme del formaggio per la stagionatura o infilarli nelle fessure del legno come mezzo di dissuasione per i topi (da cui il nome) o anche usarli per pulire le canne fumarie. E pare che le bacche private dei semi e tostate possano essere usate come succedaneo del caffè. Tra le infinite ricette con gli asparagi e affini, la più semplice e allo stesso tempo geniale perché ne preserva intatto il sapore, è quella sarda del cartoccio di asparagi alla brace: si avvolgono gli asparagi conditi con olio e sale con almeno due strati di alluminio in pellicola e si ricoprono di braci e cenere caldissima per circa 15-20 minuti. Un tempo si usavano invece e qualche tradizionalista ancora fa così, le foglie di asfodelo.
Anche i germogli di rovo sono commestibili, così come molte altre parti della pianta, compresi, ovviamente, i frutti. Le cime dei nuovi rami si raccolgono quando sono piccole e tenere per preparare risotti, ripieni e frittate, ma si possono mangiare semplicemente lessate e condite con olio e limone.

Un’altra pianta tanto comune quanto sfruttabile in cucina è il tarassaco, che ha inoltre molte proprietà medicinali. Detto anche dente di leone, o pisciacane, con i fiori gialli che d’estate diventano soffioni utili per esprimere desideri, è come il maiale, non se ne butta nulla. La radice serve per fare una specie di caffè (molto usata all’epoca dell’autarchia fascista), ma può anche essere consumata cotta; il fiore è impiegato per preparazioni dolci come marmellate e gelatine, ma è buono anche fritto in pastella mentre raccolto in bocciolo si conserva sotto sale come i capperi; le foglie sono usate sia crude che cotte in insalate o per contorni e ripieni di torte salate. In ogni modo mangiarlo deve fare benissimo dato che leggenda vuole che Teseo, su consiglio della dea Ecate, se ne nutrì in modo esclusivo per 30 giorni di fila per diventare abbastanza forte da sconfiggere il Minotauro.
Tra le ricette che lo impiegano c’è uno dei piatti piemontesi meno noti, i rabaton, una ricetta della cucina povera e contadina della zona di Alessandria, sconosciuta nel resto della regione. Sono rotolini (da cui il nome, che significa appunto arrotolato) di erbe, ricotta, uova e parmigiano, insaporiti con prezzemolo e noce moscata. Prima si lessano, poi si passano in forno con burro, salvia e parmigiano. Oggi si preparano per lo più con spinaci e bietole, ma la ricetta originale prevede appunto il tarassaco e altre piante spontanee come le ortiche, a seconda della disponibilità stagionali.

Molto simili ai rabaton ma figli della tradizione trentina, sono gli strangolapreti che nella versione originale hanno come base le ortiche e che leggenda vuole fossero il piatto preferito del prelati che nel 1545 si riunirono nel Concilio di Trento, e che ne mangiarono tanti da rischiare di strozzarsi.
Del resto le ortiche, pur infestanti e urticanti quindi da trattare con una certa cautela al momento della raccolta, si fanno perdonare una volta cotte. Quando sono ancora tenere hanno un sapore delicato, adatto per frittate, passati di verdura e naturalmente per il famoso e raffinato risotto alle ortiche.
Basta guardare per terra, a volte anche tra le fessure del cemento, per imbattersi nelle foglioline e negli steli carnosi della portulaca oleracea. I getti giovani raccolti all’inizio dell’estate sono croccanti e dal sapore acidulo: una consistenza molto gradevole, che la rende un ingrediente ideale per un’insalata mista. Il suo uso è molto diffuso nella cucina turca e curda, mentre in Italia è spesso usata nelle cucine di campagna del Sud dove è tradizione conservare i rametti e le foglie tenere sottaceto o in salamoia, per poterla consumare come contorno durante i mesi invernali. In più è una miniera di acidi grassi polinsaturi del tipo omega 3 e serve anche come ingrediente delle zuppe, in quanto il contenuto di mucillagine rende più denso e oleoso il brodo. Oltre naturalmente ai consueti utilizzi per polpettine vegetali, frittate, o come contorno, semplicemente condita con olio e limone.
La cicoria selvatica è una delle piante spontanee commestibili più comuni e apprezzate. È presente in tutta Italia e fa parte della tradizione popolare e contadina con oltre cento ricette che la contemplano come ingrediente. Ed è anche facile da riconoscere, soprattutto quando è in fioritura, grazie ai suoi fiori celesti, che sono pure commestibili e che hanno la particolarità di aprirsi al mattino e di richiudersi a ore fisse del pomeriggio. Ed è un’altra pianta super versatile: le foglie giovani si possono mangiare crude in insalata, cotte vengono preparate in umido, in brodo, in teglia, in padella, gratinate, a zuppa, al forno, in frittate, purè, timballi; come ingrediente per polpette, crêpes, ravioli e torte salate. I fiori crudi, amarognoli, si usano più che altro per decorare le insalate ma anche, in boccio, per preparare sottaceti.
E poi c’è il finocchio selvatico, una presenza aromatica e profumata comune nell’estate mediterranea con le sue grandi infiorescenze gialle a ombrello. È il classico finocchietto di molte ricette di pesce, mentre i semi vengono utilizzati per aromatizzare ragù, formaggi e biscotti, secondi di carne bianca e pesce e i semi e le foglie macerate nell’alcool puro danno un buonissimo liquore o per arricchire vino caldo o tisane.

L’elenco delle erbe commestibili è lunghissimo e comprende anche la borragine che oltre a fare bene perché è piena di acidi grassi polinsaturi, è molto usata nella cucina ligure, sono famosi i ravioli di borragine e le foglie fritte. Ma anche i germogli sono commestibili e ottimi per ripieni, frittate e piatti di verdure ripassate in padella, mentre i fiori viola stellati si possono unire alle viole, ai fiori di sambuco e di trifoglio per insalate davvero diverse dal solito. La malva selvatica, oltre che per tisane e decotti può servire come ingrediente speciale per piatti come gli gnocchi alla malva con prosciutto.
L’aglio orsino, una variante spontanea dell’aglio molto diffusa in tutta Italia, è ricco di vitamine e minerali e perciò gradito, pare, agli orsi appena usciti dal letargo, e in più si può usare come l’aglio ma senza gli effetti collaterali perché ha un sapore più delicato, simile a quello dell’erba cipollina. Con le foglie si può preparare un pesto alternativo a quello classico con il basilico.
Avete presente le classiche campanelle azzurre a stelo lungo che dalla tarda primavera spuntano un po’ ovunque? La radice, che però si raccoglie in autunno, è il raperonzolo, protagonista di una famosa fiaba dei fratelli Grimm, una radice bianca, croccante e saporita che si mangia sia cruda che cotta e che è uno dei tanti componenti del prebuggiun ligure, un misto variabile con le stagioni di erbe spontanee usate in una serie di piatti tipici come i pansotti alle erbette.

Solo in montagna crescono gli spinaci selvatici, altrettanto versatili dei loro parenti dell’orto e anche più: dalle polpette alle crespelle alle frittate agli gnocchi verdi, sono molte le ricette che li utilizzano e sono buoni anche semplicemente lessati e saltati con aglio e olio. Erbe a piacere anche nella più adattabile delle ricette piemontesi, i subric, il cui nome deriva, forse, dal francese sur bric (sul mattone); Oltralpe sono frittelle di riso o di patate, con cuore di erbette o di formaggio fuso cotte su pietra o nei forni a piastra.
In Piemonte, proprio come gli arancini, possono contenere di tutto: risotto avanzato, vitello, formaggio; quelli monferrini, in particolare i subric di Masio, sono caratterizzati dall’uso delle erbe spontanee primaverili.
L’unica avvertenza, se si vuole cimentarsi con la raccolta sul campo delle varie erbe e dei fiori è di evitare i bordi delle strade e in genere le zone a rischio di inquinamento e lavare bene il tutto in acqua e bicarbonato.

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