Samantha Cristoforetti torna nello spazio. La missione si chiama “Minerva”, come AstroSamantha avrebbe già voluto battezzare la sua partenza del 2014. Quel nome, oggi, è ancora più attuale. «Era la dea della saggezza e la saggezza non è mai abbastanza – racconta Cristoforetti ai giornalisti da Houston –. Che ci sia abbastanza saggezza è un auspicio di tutti noi, nel nostro microcosmo quotidiano di relazioni professionali e affettive, fino al macrocosmo delle relazioni internazionali».
Il decollo avverrà mentre una guerra violenta l’Europa, chissà se le macerie si vedono da lassù. Le tensioni geopolitiche non vanno trasferite sulla Stazione spaziale internazionale (Iss), semmai il contrario. «Siamo devastati da ciò che vediamo ogni giorno sulla Terra – dice l’astronauta –, ma sappiamo che abbiamo la responsabilità di mandare avanti la ricerca scientifica. Quando si ha una missione, bisogna concentrarsi su ciò che si ha in comune e non su ciò che divide. Per questo la Stazione spaziale internazionale è un faro di speranza, pace e comprensione: lo è stata in passato e lo sarà in futuro».
Quello spirito esiste già, o esiste ancora. «Ho letto dichiarazioni colorite sui social – spiega Cristoforetti – ma nessun membro partner dell’Iss, a tutti i livelli, ha mai messo in discussione la continuazione della stazione spaziale. Ogni giorno i team si riuniscono in videoconferenza per mandare avanti le operazioni, questo lavoro congiunto non si è mai fermato. Con i colleghi americani e russi siamo amici, abbiamo la responsabilità di portare avanti una missione a cui ricercatori e scienziati hanno lavorato per anni. È un simbolo di cooperazione pacifica».
A ventilare l’interruzione della collaborazione, in realtà, è stato Dmitry Rogozin, il direttore generale della Roscosmos, l’agenzia spaziale russa. Pochi giorni prima, tre cosmonauti erano arrivati a bordo della stazione in un clima di distensione. Il 12 aprile ricorrono 61 anni dallo storico volo di Jurij Gagarin. «Non trasformiamolo in un oggetto di discussione politica – risponde AstroSamantha – è stato il primo essere umano nello spazio, quindi un pioniere e il simbolo di una conquista per tutta l’umanità: l’inizio dell’era spaziale per tutti noi».
Cristoforetti non esclude una passeggiata spaziale con un cosmonauta, se le tempistiche serrate lo consentiranno. I venti di guerra non soffieranno fino a Cape Canaveral, insomma. Da qui il 21 aprile, condizioni atmosferiche permettendo, dovrebbe partire la missione di Esa e Nasa. Insieme a Cristoforetti, ci saranno per l’agenzia americana Kjell Lindgren, Robert Hines e Jessica Watkins. Si volerà sulla navicella Dragon della SpaceX di Elon Musk invece che sulla Soyuz che aveva trasportato AstroSamantha nel 2014. È un salto generazionale.
La Soyuz impiega sei ore, ma legati al seggiolino; stavolta per raggiungere la Iss ne serviranno di più, in spazi più confortevoli e con la possibilità di alzarsi, mangiare e dormire. Invece dell’anno di addestramento nella Città delle Stelle russa, sono bastate sette settimane. Entrambi i veicoli sono automatici, ma in caso di anomalie la Soyuz richiede interventi manuali. SpaceX prevede invece risposte automatiche del software di bordo e dai tecnici a Terra. Dietro l’élite che veleggia verso lo spazio ci sono maestranze nei laboratori, fino alle start-up e alle ditte che, quasi artigianalmente, cesellano i componenti.
Percorrendo a ritroso la catena d’assemblaggio si arriva fino all’Italia. «Siamo uno dei pochi Paesi al mondo – dice il presidente dell’Asi, Giorgio Saccoccia – che può vantare eccellenza in tutti i settori applicativi. Vogliamo avere un ruolo nel ritorno sulla Luna». Anche il ministro per l’Innovazione tecnologica, Vittorio Colao, ricorda questa tradizione. «Abbiamo rimesso lo spazio al centro delle politiche strategiche italiane – sottolinea il ministro –, non solo industriali, ma in senso più ampio. Avevamo un budget di 2 miliardi, è più che raddoppiato col Pnrr».
La missione dovrebbe durare fino a settembre. Come sempre, quel che si studia in orbita migliorerà la vita sulla Terra. Gli esperimenti si fanno in una staffetta, con quelli cominciati da chi è passato prima, come Luca Parmitano. «Magari si tratta di attività di dieci minuti, come installare un’unità con quattro viti e accenderla, che portano a compimento anni di lavoro dei ricercatori», spiega Cristoforetti. Tra gli studi di questa sessione, le particelle antiossidanti contro la degenerazione delle cellule neurali e l’influenza dell’assenza di peso e dell’ambiente spaziale sulla funzione ovarica ed endocrina.
«Voi giornalisti scrivete sempre che sono una scienziata, ma sono un’ingegnera», sorride AstroSamantha. Per sentirsi a casa in orbita, si porterà a bordo scorte d’olio d’oliva, supplementari a quelle per un esperimento. Poi le fotografie e i giocattoli per sorprendere i bambini con cui si collegherà ogni settimana. «C’è qualcosa di speciale nel fare una cosa per la prima volta, ma non vedo l’ora di fare questa seconda esperienza: non sarò travolta dalle emozioni da rookie e potrò godermela».
A chi le chiede perché abbia fatto questo mestiere, Cristoforetti non dà una risposta solo all’apparenza. «Non ho un aneddoto come quelli degli altri, penso agli astronauti del programma Apollo. Per me è stata una sedimentazione di impressioni, sin dall’infanzia, ma non posso identificare un momento. Star Trek in tv, o forse crescere in un piccolo villaggio, con il cielo immenso la notte. A causa dell’inquinamento luminoso molti dei nostri bambini non vivono l’esperienza ancestrale di meravigliarsi e interrogarsi davanti al cielo stellato».
«Suona retorico – conclude AstroSamantha – ma il tratto peculiare della nostra comunità deriva dal fatto che la maggior parte della gente che ci lavora sognava di farlo». Sarà per questo che l’Esa ha ricevuto 23 mila candidature. «Se andrò sulla Luna? Spero che ci sia spazio per i “vecchietti” come me, ma stiamo selezionando una nuova generazione di astronauti, dobbiamo lasciare spazio ai giovani». Di nuovo, parole dallo spazio che farebbero migliore la Terra.