Ad astraLa guerra in Ucraina non influenzerà il lavoro della Stazione spaziale internazionale

La nuova direttrice dello Space Economy Evolution Lab della Bocconi, Simonetta Di Pippo, spiega che «la ISS continuerà come sempre. Senza collaborazione sarebbe difficile anche solo la sopravvivenza. È un esempio di come lo spazio ci aiuti anche dal punto di vista della diplomazia. E questo decennio vedrà sicuramente un ritorno sulla Luna»

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«Senza lo spazio, ormai, non si può vivere sulla Terra». Dal cambiamento climatico alla sfida educativa più importante di questo decennio, la Space Economy non sposterà solo, si fa per dire, punti di PIL e mercati finanziari in un futuro molto poco remoto: ci riguarda già da più vicino di quanto immaginiamo, con tecnologie alla base della nostra vita quotidiana. Dopo otto anni al vertice dell’Ufficio delle Nazioni Unite per gli affari dello spazio extra-atmosferico (Unoosa) e prima del Volo Umano all’Agenzia Spaziale Europea (ESA), Simonetta Di Pippo è la nuova direttrice dello Space Economy Evolution Lab della Bocconi. 

Abbiamo tutti visto le foto satellitari che documentano l’invasione russa dell’Ucraina. Quanto è centrale lo spazio nelle nostre vite?
Possiamo coprire l’intero globo con immagini satellitari anche ad alta definizione. Con quei dati possiamo fare tantissime cose, dall’agricoltura di precisione alla gestione dei disastri naturali. Lo spazio è con noi nella nostra vita. Sono una fautrice della diplomazia spaziale, l’uso pacifico dello spazio si mantiene supportando quante più collaborazioni internazionali possibili.

Con la guerra, ci sono stati timori sul futuro della Stazione spaziale internazionale (ISS).
Un equipaggio con due cosmonauti russi e un astronauta americano è appena rientrato con una Soyuz. La ISS continuerà come sempre. È uno dei progetti di collaborazione internazionale più interessanti, perché a bordo si compiono esperimenti lunghi più dei sei mesi di permanenza media. A più riprese, sono portati avanti da astronauti di nazionalità diversa, tra i quattordici paesi che partecipano. È quasi una simbiosi. Senza collaborazione, sulla Stazione sarebbe difficile anche solo la sopravvivenza. È un esempio di come lo spazio ci aiuti anche dal punto di vista della diplomazia. 

A proposito, cosa ha imparato nei suoi otto anni all’Onu?
Le dinamiche dell’Onu consentono di avere un quadro globale di quello che accade. Nel mio caso, sulle attività spaziali, che sono ormai struttura portante dello sviluppo socioeconomico. Vale non solo per i paesi che hanno degli asset in orbita. Non sono moltissimi, sono poco più di ottanta quelli che hanno lanciato almeno un satellite dall’inizio dell’era astronautica, ma quelli che hanno vere infrastrutture sono ancora pochi. Molti di questi dati sono fruibili avendo competenze di osservazione terrestre, per esempio per la navigazione di precisione con i sistemi satellitari, come il GPS americano, il Galileo europeo, il GLONASS russo o il BeiDou cinese. 

Può farci un esempio concreto di come si può incidere sulla vita delle persone?
Alle Nazioni Unite abbiamo creato un comitato per aiutare tutti gli utenti a fruire delle varie costellazioni di satelliti. Per ottenere informazioni di geo-localizzazione, con una sola costellazione, ci vuole la copertura di quattro satelliti, ma se mettiamo assieme i segnali provenienti da più di una, il dato è più preciso. Nella gestione di un’emergenza significa salvare vite. Si possono confrontare immagini satellitari di prima e dopo un disastro naturale per capire, per esempio, se un ponte è ancora in piedi, o se un aeroporto è ancora utilizzabile per far arrivare aiuti umanitari. 

Che ruolo può avere la Space Economy nella transizione ecologica?
Lo spazio è necessario quando parliamo di cambiamento climatico, anche solo per tenere monitorate le variabili fondamentali. C’è un forte legame tra lo spazio e i 17 obiettivi di sviluppo sostenibile dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite: più del 50% di questi target possono essere raggiunti dagli Stati soltanto facendo uso dello spazio e dei dati spaziali. Senza spazio, ormai, in pratica sulla Terra non si vive più. 

Qual è la missione della sua nuova avventura, alla Bocconi?
Una delle cose che ho in testa da tempo è che serve un’educazione più integrata. L’istruzione spaziale è sempre più importante, perché l’economia spaziale sarà uno dei temi portanti di tutta l’economia del futuro. Abbiamo bisogno di formare i futuri leader anche con delle competenze multidisciplinari. Non si può più essere solo scienziati o ingegneri, saperne di geopolitca spaziale o avere esperienza di management e finanza. Abbiamo bisogno di figure professionali con una visione a 360 gradi. È l’unico modo per affrontare in modo adeguato questo settore, con le due branche dello Space for space e Space for Earth. Io stessa sono un esempio di questo binomio: astrofisica per estrazione, poi manager e alla fine astro-diplomatica.

Lei è stata la prima donna a ricevere il premio Hubert Curien. C’è ancora un divario di genere nelle materie scientifiche?
Ho avuto responsabilità manageriali importanti e posso dire che le squadre vanno costruite mettendo assieme degli esperti in linea con gli obiettivi. Ma non possiamo tenere metà della squadra in panchina per definizione, sennò non vinceremo mai. Una squadra dev’essere composta da chi merita di esserci. Con questo approccio basato sul merito – nel momento in cui riusciremo ad avere una base di presenza femminile bilanciata, e non ci siamo ancora – il problema di genere non esisterà più. Sono fortemente convinta, poi, che debba esserci diversità anche in termini di seniority

È un problema che tocca l’Italia più di altrove?
Non è solo italiano. Secondo numerosi studi, i condizionamenti per le bambine avvengono tra gli 11 e i 13 anni. Prima l’interesse per le discipline STEM è su percentuali bilanciate con quelle dei maschi, in questa fascia c’è una forte riduzione. Non è l’unica ragione, ma probabilmente intervengono condizionamenti sociali. All’Onu, oltre al programma Space for Women per giovani donne laureate, abbiamo lanciato Kids Reaching Stars: uno di questi cinque progetti era chiamato Astrogirls, un altro era dedicato a bambini con disabilità. Tutte le possibili diversità vanno considerate come asset e mai come problema. 

Che ruolo può avere il nostro paese in questa nuova corsa allo spazio?
Abbiamo sempre avuto un’enorme competenza nel settore. Nel 1964 l’Italia ha messo in orbita – uso questo termine perché il lanciatore non era italiano – il suo primo satellite, il San Marco 1. Terzi dopo Stati Uniti e Unione Sovietica. Oltre alle imprese storiche, abbiamo anche un grande fiorire di start-up, soprattutto nel settore dei servizi. In realtà, c’è un po’ penuria di esperti. Lo sviluppo della Space Economy dovrebbe avere una base di ingegneri, scienziati, esperti di finanza e legge spaziale, ma anche di biologi, medici, psicologi, per quando con insediamenti sulla Luna e Marte vivremo e lavoreremo nello spazio in modo più continuativo. Non è troppo tardi. L’Italia può giocare un ruolo di primissimo piano. È uno dei motivi per cui ho accettato questa sfida. 

Quali saranno i prossimi passaggi chiave a cui prestare attenzione? 
Questo decennio vedrà sicuramente un ritorno sulla Luna. Ci aspettiamo molto dal successore del telescopio spaziale Hubble, che è il James Webb, per indagare sull’origine dell’universo. Sentiamo parlare di estrazione di risorse e terre rare dagli asteroidi, potremmo avere la tecnologia per farlo entro la fine del decennio. Una delle cose che va fatta subito è rendere meno congestionate le orbite, mitigare la presenza di detriti e altri oggetti». 

L’età dell’oro della corsa allo spazio ci ha lasciato in eredità molte tecnologie di uso comune. Sarà così anche stavolta?
Pensiamo alle tecnologie che sarà necessario sviluppare per una sopravvivenza di esseri umani su Marte. Sono anni che si studiano soluzioni per delle terre dove si possano coltivare ortaggi con condizioni ambientali certamente diverse da quelle del nostro pianeta. Avremo un ritorno interessante sui processi di agricoltura intelligente sulla Terra. Uno dei concetti fondamentali è che nello spazio andiamo sempre di più verso attività sostenibili. Siamo costretti ad affrontare problemi tecnologici che altrimenti non ci saremmo posti. Se potessimo spegnere tutti i satelliti, ma non possiamo, sarebbe una dimostrazione di quanto la nostra vita sia permeata dai loro dati. 

Un asteroide porta il suo nome, che effetto le fa?
È un asteroide della fascia principale, tra Marte e Giove. Il 21887. Sono molto orgogliosa, mi dà la sensazione di essere parte del sistema solare. Dopo aver lavorato così tanto in questo settore, sono ancora entusiasta come all’inizio: lo vedo come un riconoscimento alla mia passione.