Le elezioni svoltesi in Serbia si sono concluse con la vittoria del presidente uscente Aleksandar Vucic e del Partito Progressista Serbo (SNS) di cui fa parte. L’organizzazione non governativa CESID, che ha preso parte allo spoglio, ha reso noto che Vucic ha ottenuto il 59.8 per cento dei voti ed eviterà il ballottaggio.
L’SNS si è aggiudicato il 43.8 per cento delle preferenze che, sommati all’11.6 per cento degli alleati Socialisti, gli garantirà la maggioranza parlamentare. “Uniti per la Serbia”, la principale coalizione dell’opposizione, si è fermata al 12 per cento mentre la sinistra di “Moramo” non ha raggiunto il 5 per cento. Il secondo posto alle presidenziali è toccato all’ex generale Zdravko Ponos, con il 17 per cento dei voti. La Commissione Elettorale ha dichiarato che Vucic è il vincitore e che l’affluenza alle urne è stato del 60 per cento.
Aleksandar Vucic è cresciuto politicamente al fianco di leader come Vojislav Seselj e Slobodan Milosevic, colpevoli delle atrocità nelle guerre balcaniche degli anni Novanta ma ha poi rinnegato apertamente il suo passato mettendo da parte il nazionalismo e aprendo con decisione alle riforme economiche e all’Unione europea.
Nel 2008 ha abbandonato il Partito Radicale Serbo, ultranazionalista ed ha fondato il Partito Progressista, populista e conservatore, divenendone presidente a partire dal 2012. Nel corso della sua lunga carriera politica ha ricoperto diversi incarichi: Ministro dell’Informazione tra il 1998 ed il 2000, Ministro della Difesa tra il 2012 e il 2013, Primo Ministro dal 2014 al 2017 e in seguito Capo dello Stato. Durante l’emergenza sanitaria provocata dal Covid-19 Vucic ha assunto tutti i poteri nelle proprie mani riservandosi il diritto di approvare oppure cassare tutti i provvedimenti emanati dal governo. In alcuni casi ha tratto vantaggio dalla situazione favorendo l’adozione di misure populiste come un aiuto economico una tantum pari a 100 euro devoluto a tutti i cittadini maggiorenni.
L’organizzazione non governativa americana Freedom House riferisce che, negli ultimi anni, l’SNS ha progressivamente eroso i diritti politici e le libertà civili nel Paese balcanico mettendo pressione sui media indipendenti, sulla società civile e sull’opposizione politica. Proprio quest’ultima, infatti, ha espresso preoccupazione per il trattamento di favore che i media nazionali hanno riservato a Vucic, una presenza costante sui principali giornali e sulle più importanti televisioni serbe. Borko Stefanovic, vice-presidente del Partito della Libertà e Giustizia, ha dichiarato, come riportato dalla BBC, che il governo «ha il controllo assoluto dei media». Durante la campagna elettorale i rappresentanti dell’esecutivo hanno beneficiato di abbondanti coperture televisive, pari ai due terzi-tre quarti del tempo dedicato alle notizie politiche. All’opposizione, invece, sono rimaste le briciole.
Gli oppositori di Vucic avevano scelto di boicottare le elezioni parlamentari del 2020 perché ritenevano mancassero le condizioni per rendere quella sfida libera e competitiva ma anche le consultazioni del 2022 si sono svolte in un clima anomalo. La guerra in Ucraina ha dominato la campagna elettorale e il Presidente Vucic ha sfruttato a proprio vantaggio gli sviluppi geopolitici enfatizzando la necessità della pace e scoraggiando l’elettorato a optare per il cambiamento in tempi difficili. Vucic si è schierato in favore dell’integrità territoriale dell’Ucraina ed ha votato in favore della risoluzione delle Nazioni Unite che ha condannato l’invasione. La sua posizione complessiva, però, è più sfumata. Belgrado si è opposta alle sanzioni contro la Russia e non ha chiuso lo spazio aereo del Paese ai voli provenienti da Mosca.
Negli ultimi anni la Serbia ha mantenuto una neutralità di facciata nell’ambito della crescente rivalità tra l’Occidente la Russia schierandosi, di volta in volta, in favore dell’uno o dell’altro schieramento per motivi utilitaristici. La firma dell’Accordo di Associazione e Stabilizzazione con l’Unione Europea impone alla Serbia di allineare la propria politica estera e di sicurezza a quella di Bruxelles ma il Paese continua a essere politicamente legato alla Russia. Belgrado ha bisogno del supporto di Mosca sulla questione del Kosovo alle Nazioni Unite ed è dipendente dalle forniture a basso costo di gas ed equipaggiamenti militari provenienti dalla Russia. Un recente sondaggio dello European Council on Foreign Relations ha evidenziato che il 54 per cento dei serbi vede la Russia come un alleato mentre solamente l’11 per cento ritiene che l’Unione Europea lo sia.
La Serbia intende entrare a fare parte dell’Unione Europea e i suoi colloqui di adesione sono stati aperti nel 2014. I progressi e i passi in avanti registrati si sono però scontrati con ostacoli, al momento, invalicabili. Belgrado, con i suoi alleati Russia e Cina, rifiuta di riconoscere la dichiarazione di indipendenza del Kosovo del 2008 ma Bruxelles ha reso noto che la normalizzazione delle relazioni tra Kosovo e Serbia sono una parte essenziale del processo di avvicinamento all’Unione. Le ferite della secessione di Pristina e dei bombardamenti della Nato del 1999 sono, però, ancora aperte e sembra improbabile che possano essere superate nel breve periodo.