Inside LubianaLa Slovenia va al voto per decidere se fermare la deriva anti-UE

Il nuovo parlamento sloveno si annuncia frammentato. L’attuale Primo ministro Janez Janša è insidiato da un nuovo partito verde, che forse invertirebbe la tendenza filo‒sovranista degli ultimi anni

LaPresse

La sera di domenica 24 aprile i riflettori dei media europei saranno puntati su Parigi, dove l’esito della sfida fra Emmanuel Macron e Marine Le Pen condizionerà significativamente il futuro dell’Unione europea. Ma anche da Lubiana, capitale della Slovenia, arriveranno notizie importanti: nelle elezioni parlamentari si gioca la riconferma il Primo ministro Janez Janša, che di recente ha avuto più di un problema con le istituzioni comunitarie e sembra determinato a procedere sul cammino sovranista già percorso da Polonia e Ungheria.

Secondo gli ultimi sondaggi, sette partiti viaggiano sopra la soglia di sbarramento del 4%, pronti a contendersi i 90 seggi (tra cui uno riservato alla minoranza italiana) dell’Assemblea nazionale, la camera bassa del Parlamento di Lubiana. 

Quelli favoriti per primeggiare sono il Partito democratico sloveno dell’attuale Primo ministro Janez Janša e Gibanje Svoboda, il Movimento per la Libertà nato nel maggio 2021, guidato dall’ex ministro dell’energia Robert Golob, e già frontrunner dell’opposizione. L’appuntamento del 24 aprile sarà il primo e più importante round di una sfida lunga un anno, che prevede in autunno le elezioni presidenziali e quelle locali.

Janša ha promesso di tagliare le importazioni di gas russo e si è mostrato molto attivo nel supporto all’Ucraina, compiendo insieme agli omologhi di Cechia e Polonia il primo viaggio di leader europei a Kiev durante la guerra. Definito un «camaleonte politico» dagli analisti, è passato dal comunismo giovanile all’arsenale retorico dell’estrema destra con slogan euroscettici e frequenti manifestazioni di stima a Viktor Orbán.

Il partito di Golob, invece, è una forza politica nuova, nata sulle ceneri del partito verde sloveno: il suo programma è incentrato sulla lotta al cambiamento climatico, a cui si aggiungono le proposte di riformare il sistema sanitario e quello pensionistico. Sembra capace di attrarre le preferenze sia degli elettori di destra che di sinistra. Per questo, nelle previsioni, Gibanje Svoboda ha scalzato i Socialdemocratici dell’eurodeputata Tanja Fajon come rivale principale di Janša.

Il suo leader accusa il Primo ministro di utilizzare il conflitto per propaganda interna, oltre che di minare gli standard democratici nel Paese e i suoi organismi indipendenti. «Libertà di stampa e rispetto dello Stato di Diritto sono peggiorati negli ultimi due anni, tanto che la Slovenia ha perso sei posti nel Corruption Perceptions Index», dice a Linkiesta il portavoce di Gibanje Svoboda. «Visto che il partito al potere sta copiando dall’Ungheria il modo di gestire i media, ci aspetta un risultato simile».

Nessuno dei due, comunque, raggiungerà la maggioranza assoluta e chiunque sia il vincitore formale della tornata, dovrà cercare il supporto di altre formazioni politiche per governare. 

Cosa che rende l’esito delle elezioni incerto anche dopo la conta dei voti: il partito di Janša, ad esempio, era arrivato primo all’ultima tornata parlamentare, nel 2018, ma a formare il governo era stato il comico Marjan Sarec, che con la sua lista personale di ispirazione liberale si era piazzato al secondo posto ed era poi riuscito ad aggregare dietro di sé i partiti minori. Un errore di calcolo politico di Sarec, che nel 2020 cercava nuove elezioni convinto di ottenere la maggioranza, spianò la strada a Janša, permettendogli di formare una nuova coalizione di governo.

La deriva anti‒europea della Slovenia
Da allora il governo sloveno è incorso in una serie di dispute con le istituzioni dell’Unione europea, tra incidenti dialettici e momenti di vero confronto politico.

La questione più problematica riguarda la situazione della stampa nel Paese, dopo che il governo ha tagliato i finanziamenti all’agenzia di stampa nazionale Sta e secondo gli attivisti tende a favorire indebitamente i media che gli sono congeniali. Il Paese ha perso quattro posizioni nel 2021 nel World Press Freedom Index di Rsf, che evidenzia come la tendenza intimidatoria da parte della politica sul mondo dell’informazione si sia accentuata dall’inizio del mandato di Janša.

Un altro momento di tensione è stato la nomina dei procuratori delegati sloveni nella Procura europea (European Public Prosecutor Office – Eppo). L’ufficio comunitario che indaga su possibili frodi e malversazioni sui fondi europei è attivo dal primo giugno 2021: vi partecipano 22 Paesi Ue (tutti tranne Ungheria, Irlanda, Svezia, Danimarca e Polonia), ognuno dei quali designa un procuratore europeo, che siede a Lussemburgo nel collegio centrale, e almeno due procuratori delegati che operano sul territorio nazionale.

La Slovenia ha a lungo atteso prima di procedere alla nomina, avvenuta soltanto lo scorso novembre, di Frank Eler e Matej Oštir. Il rifiuto iniziale del governo di presentare i due delegati, a quanto pare avvenuto su indicazione personale di Janša, aveva portato alle dimissioni della ministra della Giustizia Lilijana Kozlovič e destato sospetti sull’utilizzo dei fondi comunitari nel Paese. 

Una preoccupazione manifestata anche dalla presidente dell’Eppo, la magistrata rumena Laura Codruța Kövesi per una proposta di legge che avrebbe tagliato i tempi d’indagine per vari tipi di reati. Un’amnistia de facto per molti casi di frode ai danni di fondi europei in Slovenia, secondo la Procura europea.

I termini sostanziali del confronto sono corredati da una serie di azzardate uscite comunicative che sono valse al Primo ministro sloveno il soprannome di «Maresciallo Twito», data la sua passione per il social network. 

Se i complimenti a Donald Trump per un’elezione mai avvenuta si possono derubricare a temeraria presa di posizione, più gravi nella forma e nella sostanza sono stati i tweet che definiscono eurodeputati attuali e passati (tra cui uno deceduto) «burattini di Soros» o quello con cui ha anticipato la visita della presidente Ursula von der Leyen a Kiev, prima che la Commissione stessa annunciasse la missione. In molti, a Bruxelles, sperano che il prossimo post non sia la celebrazione di un trionfo elettorale.

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