Tutto parte da qui, da una domanda che ci siamo posti e da una tendenza sempre più evidente, soprattutto nelle grandi città. Perché dovremmo pagare il caffè al bar 1,50 euro o più? Il prezzo del caffè è stabilito in borsa, ma questo non significa che sia equo: dalle torrefazioni specialty all’espresso del bar, sono tante le domande da farsi per un consumo più responsabile. Noi ne abbiamo parlato durante una serie di dirette, e abbiamo provato a capire perché un prezzo più equo potrebbe trasformare radicalmente questo settore, ancora poco esplorato proprio in Italia, dove ci vantiamo di farlo bene ma dove in realtà l’autentica cultura del caffè è davvero scarsa. Ma seguendo una discussione su Twitter la domanda che ci siamo posti si è ampliata: perché, come sempre succede quando un tema diventa di moda, i “nerd” del settore diventano intransigenti. Il punto è questo: se il caffè lo pago io, tu che me lo vendi a un prezzo più alto della media e che probabilmente hai studiato a lungo per propormi la miglior selezione, e per farmi l’estrazione più corretta e per servirlo nella giusta tazzina e alla temperatura corretta, hai il diritto di impedirmi di berlo con lo zucchero? Dai commenti su Twitter pare proprio di no, visto che l’attitudine prevalente è “voglio, pago, pretendo”, ma proviamo ad andare oltre la presa di posizione e ragioniamo in astratto.
Posso annacquare un Sassicaia visto che l’ho pagato io? Sì, ma il produttore può chiedermi per favore di non farlo, visto quanta fatica, quanto lavoro e quanta energia ci ha messo a farlo così bene? Ma soprattutto: ha senso che tu – pur pagandolo – rovini un prodotto perfetto? Ribaltando il discorso: il cliente ha la cultura necessaria a capire determinate proposte? Probabilmente serve per ogni locale il giusto cliente e per ogni cliente il giusto locale. Se vuoi il caffè bruciato addolcito, non scegliere la roastery fighetta. Se vuoi scoprire un caffè monorigine ben estratto e ben servito, cerca il tuo nerd preferito in città.
E poi ne facciamo una questione “organolettica”. Perché – come ci insegna il nostro guru Gianni Tratzi – se un caffè è di ultimo raccolto, di tostatura fresca ed estratto e servito bene, probabilmente ha una naturale dolcezza come se avesse già una punta di zucchero. Se l’amaro è molto prevalente, non è un discorso di gusti personali, ma è come se un vino fosse eccessivamente acetico. Insomma: non è che ci mettiamo lo zucchero perché mediamente beviamo caffè cattivi o estratti male?
Parlando invece ai nostri amici baristi appassionati, colti e che sanno scegliere e proporre prodotti di grande qualità: ci spiegate meglio le peculiarità dei vostri caffè? Ci fate capire perché avete scelto di non darci lo zucchero senza imporlo come un diktat facendoci sentire trogloditi inadeguati? Ci aiutate a entrare nel mondo degli iniziati? Probabilmente con un approccio meno calato dall’alto e con un briciolo di… dolcezza in più, ci aiutereste a migliorarci come bevitori di caffè e ci convincereste con più malizia a eliminare lo zucchero dalla vostra bevanda preferita. Scommettiamo?