Ormai è chiaro che Giuseppe Conte ha scelto la strada del logoramento del governo di cui fa parte. Basta guardarlo. Appena gli nomini Mario Draghi scatta quasi come quando gli facevi il nome di Matteo Renzi.
Dopo la polemica sugli armamenti e la dissociazione sul il termovalorizzatore di Roma, ieri l’avvocato del popolo ha accusato apertamente il presidente del Consiglio – mai l’aveva fatto così esplicitamente – di essere un ambiguo, uno che prima approva i provvedimenti e poi li critica (riferendosi alla botta di Draghi al superbonus voluto dai grillini) e ha sfidato tutti a chiedere apertamente l’estromissione del M5s dall’esecutivo, mentre nel pomeriggio l’astuto sottosegretario agli Esteri nonché fervido russofilo, Manlio Di Stefano, ha fatto notare che senza i grillini non c’è una maggioranza: mettete i puntini in fila e otterrete che forse all’avvocato non basta il logoramento di Draghi. Forse vuole la sua caduta. Così da poter andare a elezioni anticipate in autunno, ipotesi che era circolata prima dell’attacco di Vladimir Putin all’Ucraina e dunque poi congelata.
Ma poi Conte ha visto proprio nella guerra contro Zelensky il grimaldello che può far saltare tutto: se il conflitto dovesse protrarsi per mesi, il M5s, ora a pezzi nei sondaggi, potrebbe inaspettatamente risalire la china camuffandosi da partito no war, contro “la corsa al riarmo”, punto di riferimento politico delle varie forme di pacifismo – alcune serie, molte altre no – che stanno venendo fuori in queste settimane di dibattito spesso drogato dalla mala-informazione dei talk.
Non è un caso che si senta dire di candidature putiniane nelle liste grilline. Tanto meno è un caso che Conte abbia chiamato alla Scuola di formazione gente come Tomaso Montanari e Luciano Canfora, i professori russofili. Un disegno cinico, quello di giocarsi la guerra come occasione per prendere voti. Naturalmente non è detto che la corda tirata da Conte poi si spezzi per forza. Ma in ogni caso il nuovo corso del grillismo sta dunque prendendo corpo sotto il segno forte dell’antiamericanismo alla Di Battista coniugato–- non è difficile – con una nuova crociata stile gilet gialli contro gli effetti economici della crisi internazionale, la crescita dei prezzi soprattutto: ovvio che se la situazione precipitasse verso le urne Giuseppi farebbe una campagna elettorale tutta contro il Pd (bye bye campo largo) che sotto la guida di Enrico Letta appare ed in effetti è il partito più intransigente sul fronte delle alleanze internazionali dell’Italia e che verrebbe additato, come d’altronde da settimane fa tutto l’estremismo di sinistra, come il partito “servo della Nato”.
Abbiamo già notato che l’avvocato del popolo sta assumendo in Italia il ruolo che ha Jean-Luc Mélenchon in Francia, il quale in vista delle elezioni legislative di giugno sta riuscendo nell’impresa di raccogliere i pezzetti sparsi della ex gauche francese: ma certo Conte non ha lo stesso pedigree del leader di France Insoumise, non fosse altro che egli annovera nel suo recente passato – per dirne una – l’incancellabile firma dei decreti Salvini contro gli immigrati, una pagina che l’estrema sinistra italiana non dimentica.
E tuttavia è fin troppo chiaro che il capo del Movimento sta intravedendo nell’ennesima sua trasformazione l’unica via d’uscita da una situazione di totale sbando del M5s. È un giochetto pericoloso. Per lui e per il Paese. Forse non è un caso che Draghi, certo non solo per rispondere all’offensiva contiana, abbia tempestivamente “parato” i colpi della crisi con il “decreto aiuti” e che sia pronto ad un suo nuovo personale impegno nella crisi europea scatenata dalla Russia.
Da questo punto di vista è da notare che il presidente del Consiglio, senza minimamente deflettere dall’appoggio a Kiev con tutti i mezzi, in questi giorni sta insistendo di più sulla necessità di lavorare per fare un passo avanti in una situazione che appare stagnante e ieri, infatti, ha chiesto un immediato cessate il fuoco.
È possibile che il presidente del Consiglio stia mettendo a punto una linea che tenga insieme la fermezza di Joe Biden con l’iniziativa di Emmanuel Macron. Una posizione più “di movimento” che potrebbe tagliare la strada a Giuseppe e i suoi fratelli “pacifisti” che nei loro conciliaboli lo accusano di essere un soldatino al sevizio degli americani e che su questa narrazione vorrebbero costruire una campagna politica, e forse elettorale, del tutto spregiudicata.