Un posto al sòlaL’informazione Rai è come una soap, con caratteristi scarsi e trame prevedibili

La subalternità al mercato, la tirannia dell’Auditel e il narcisismo di certi conduttori stanno distruggendo la qualità degli approfondimenti del servizio pubblico. Eppure basterebbe tornare alla tv di una volta, con un controllo che non ha nulla a che vedere con la censura

Photo by Paolo Chiabrando on Unsplash

L’informazione Rai è allo sbando. Una grossa delusione per chi sperava in una Rai “draghiana”, orientata cioè nel senso di una maggiore “voglia” di approfondire seriamente i problemi, di caratterizzarsi per autorevolezza e credibilità. Un servizio pubblico serio. Macché. Proprio nel più tragico periodo della storia recente la Rai sta dando il peggio di sé, declassando l’informazione a fiction, come ha denunciato il presidente della Commissione parlamentare di vigilanza Rai Alberto Barachini sul Corriere della Sera.

In generale – non stiamo adesso parlando della sola Rai – i talk show, sempre più show, invece di essere momenti di informazione, dibattito e approfondimento sono pensati come fiction: la deriva è da anni in atto sulle reti Mediaset o poi de La7 (con poche luminose eccezioni) ma da qualche mese anche sul programma principale di informazione del servizio pubblico, “Cartabianca” su Rai3 (lasciamo stare qui “Report”, che fa un’informazione basata sulla character assassination e su un giornalismo scandalistico).

“Cartabianca”, come “DiMartedì” su La7 e i talk serali di Rete4, è costruita come “Un posto al sole”, la popolare soap che va avanti da anni sempre su Rai3 di cui lo spettatore conosce a memoria le dinamiche, i tic, i vizi e le virtù dei singoli personaggi e dunque è perfettamente a suo agio nell’affezionarsi o nel detestare questo o quello e nel prevedere gli sviluppi della storia attendendo quindi con ansia la successiva puntata. Così nei talk (mettiamoci anche “Agorà”, e vedremo se la fine della conduzione di Luisella Costamagna sortirà qualche effetto benefico) nascono veri e propri “tipi”, come nella commedia dell’arte: ed ecco dunque da “Bianchina” la maschera putiniana di Alessandro Orsini, l’eterno incazzoso Massimo Cacciari, l’irsuto Mauro Corona, il coatto Andrea Scanzi, l’eclettico cognato della conduttrice, e ogni tanto una persona seria tipo Antonio Caprarica.

Questo tipo di “informazione”, che non è più nemmeno infotainment ma teatro di varietà, è diventato ormai un mercato nel senso proprio del termine: paradossalmente, in quest’epoca di populismo televisivo, vige il contrario dell’uno vale uno, qui vale chi la spara più grossa e chi urla di più, sicché  i “personaggi”, che hanno ciascuno un loro prezzo (Orsini valeva 2.000 euro a puntata), tendono a essere sempre più “personaggi” così che il loro prezzo possa salire. «Se non li paghiamo vanno dalla concorrenza», ha spiegato Bianca Berlinguer: e che ci vadano, la Rai ne trovi di migliori!

È proprio questa subalternità al mercato, alla tirannia dell’Auditel, oltre che al narcisismo di certi conduttori a fare il danno dell’azienda rendendola uguale alla tv commerciali, nella logica e nello stile. Ha scritto ancora Barachini, che si è meritoriamente ingegnato a trovare regole che assicurassero qualità ai talk: «Occorre restituire al servizio pubblico la forza e il coraggio di esercitare un controllo editoriale – che nulla ha a che vedere con la censura – a tutela del reale pluralismo e della trasparenza informativa».

Infatti c’è da chiedersi chi controlli la Berlinguer. Ha osservato saggiamente Maurizio Mannoni, con chiaro riferimento alla sua ex collega del Tg3, che «basterebbe tornare alla tv di una volta, con direttori di rete, capistruttura e autori come si deve, per scongiurare la dittatura assoluta del conduttore»: non ci vuole poi molto. Non sarebbe il caso che il Consiglio d’amministrazione richiamasse i dirigenti di rete a contenere il protagonismo dei conduttori?

Quanto ai telegiornali, l’impressione è che dopo un primo periodo caratterizzato da una certa nuova verve si stia di nuovo addensando quel tipo di noia tipicamente telegiornalesca frutto di mancanza di iniziativa, il solito tran tran, «ed è tutto, buona giornata». Fa eccezione il Tg1 di Monica Maggioni, che almeno prova a rinnovarsi. I giornalisti bravi non mancano, in ogni testata. Ma come sono diretti? Questa ci pare la questione. Senza contare poi le vere e proprie follie che nemmeno ai tempi del pentapartito anni Ottanta – altro che “Rai draghiana”.

Giustamente due consiglieri della Vigilanza, Michele Anzaldi (Italia viva) e Valeria Fedeli (Pd), hanno stigmatizzato l’incredibile caso del direttore del Tg2 Gennaro Sangiuliano che è andato a concionare sul palco della tre giorni milanese di Fratelli d’Italia: forse egli immagina un suo prossimo futuro in politica ma se è così almeno non lo dia tanto a vedere. E comunque fino ad allora faccia il direttore, che è già tanto. O la campagna elettorale è davvero cominciata?

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