Svegliati da Matteo Orfini e soprattutto dalla realtà, i democratici adesso si rendono conto che è meglio il proporzionale. Insistere con il Rosatellum e il campo largo con dentro i grillini tra le altre cose comporterebbe che il povero militante di Roma Centro potrebbe trovare nel suo collegio uninominale Giuseppe Conte o peggio ancora il dottor Stranamore alias Alessandro Orsini. Mentre il suo compagno di Napoli dovrebbe votare Michele Santoro e altri malcapitati compagni e amici del Partito democratico in giro per l’Italia avrebbero Donatella Di Cesare, l’ex settantasettina antiamericana, o Carlo Freccero o Paola Taverna o Danilo Toninelli e chi più ne ha più ne metta, dopo che il professionista di queste cose, Dario Franceschini, avrebbe passato giorni e notti a spartirei i collegi uninominali con Claudio Messora, cioè Byoblu, il noto agitatore tornato alla ribalta con l’iniziativa pacifista di Santoro e compagnia bella e con il buon Nico Stumpo di Articolo Uno, che difenderebbe il suo piccolo orticello.
Situazione sgradevole. Tutti i maggiorenti del Pd si sono improvvisamente svegliati dal sonno della ragione calato con la segreteria di Nicola Zingaretti, che ora sul proporzionale ha cambiato idea pure lui, e che adesso sperano di convincere la destra a varare insieme una legge proporzionale con sbarramento, compito estremamente arduo come ha fatto notare nella riunione di lunedì Lorenzo Guerini che pure non ha dubbi sulla necessità di superare l’attuale Rosatellum.
La questione non è evidentemente di simpatie personali ma tutta politica: come potrebbero gli elettori e gli iscritti del Pd che non hanno dubbi sulla necessità di sostenere l’impegno della Nato accanto all’Ucraina votare per un Conte che ormai tutti i giorni attacca il governo Draghi proprio sull’invio delle armi? Come farebbero i dem di Roma a votare un esponente di un partito come il Movimento 5 stelle che si è messo di traverso sul termovalorizzatore voluto dal sindaco del Pd Roberto Gualtieri? O sul superbonus del 110% voluto dai grillini e ieri bombardato da Mario Draghi?
E si può star certi che la divisione tra Letta e Conte andrà avanti ogni giorno e su qualunque cosa giacché è questa il nuovo corso dell’avvocato trasformatosi in Signornò dopo essere stato per tre anni prono a tutto e a tutti.
I margini per una alleanza elettorale – il famoso campo largo imperniato sull’asse Pd-M5s – di fatto non esistono più, anche per rispetto verso gli elettori (compresi i contiani cui verrebbe l’orticaria a votare i dem con l’elmetto) perché la postura di Jean-Luc Mélenchon alle vongole dell’avvocato ha allontanato a dismisura e definitivamente i grillini dai riformisti. D’altronde, di che stiamo parlando?
Conte ha sempre preferito andare da solo perché così si sente con le mani libere dopo il voto per qualunque avventura: lo si è visto dopo le elezioni del 2018 – ricordate? – quando scelse di fare il governo con Matteo Salvini. Anche nel ’18 Pd e grillini andarono divisi ma la differenza con allora è che oggi i grillini per come stanno messi non vincerebbero in nessun collegio: problema loro, si dirà, perché Letta dovrebbe aiutarli?
Perché, rispondono i nostalgici del maggioritario del Nazareno, contro una destra unita divisi si perde: sicuro sicuro – direbbe Matteo Renzi – che un’operazione politicamente falsa e sgrammaticata quale quella di un’alleanza elettorale Pd-Conte farebbe vincere? Essere al tempo stesso onesti e vincenti è una scommessa difficile, certo, ma forse varrebbe la pena giocarla.