Luci e ombreI lavoratori sono tornati ai livelli pre-pandemia, ma intanto è cambiato tutto

Rispetto a marzo 2021, la crescita del numero di occupati è pari a 804mila unità, in oltre la metà dei casi a termine. Mancano ancora all’appello 215mila autonomi. Nel primo mese di guerra, non si vedono ancora gli effetti della crisi internazionale. Ma i segnali positivi potrebbero essere presto sgonfiati

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I numeri dell’Istat sul mese di marzo 2022 lo certificano per la prima volta in due anni. Il numero di occupati in Italia è tornato quello di febbraio 2020, prima che si desse notizia del primo caso di Covid-19 a Codogno. Con il tasso di occupazione salito alla percentuale record di 59,9%. Quello di disoccupazione sceso all’8,3%, ai livelli del 2010. E il tasso di inattività ridotto al 34,5%, come prima della pandemia.

Eppure, in questi due anni, nulla è rimasto come prima. E la composizione del mercato in lento risveglio è radicalmente cambiata. Anche perché, nel frattempo, è arrivata la guerra russa in Ucraina. E se la crisi Covid aveva colpito soprattutto i servizi, a sentire gli effetti della crisi oggi – tra rincari e blocchi dei commerci – è soprattutto la manifattura.

Rispetto al mese precedente – quando i contratti a termine erano schizzati in alto, gli autonomi erano tornati a crescere e i rapporti a tempo indeterminato si erano ridotti di 100mila unità – a marzo la situazione si capovolge. Si contano 81mila occupati in più in un mese (+0,4%), con 103mila contratti stabili aggiuntivi, solo 19mila a termine in più e una riduzione degli autonomi di 41mila unità.

I dati Istat di marzo 2022 erano attesi proprio per capire le conseguenze economiche del conflitto sul mercato del lavoro. Anche se, a guardare i dati, l’andamento del lavoro nel primo mese di guerra non sembra risentire della situazione internazionale, mostrando una tendenza positiva.

L’aumento dell’occupazione nel mese di marzo riguarda unicamente le donne, che recuperano 85mila posti di lavoro (pari a un aumento di 442mila in un anno). Mentre gli uomini ne perdono 4mila. Indice, questo, probabilmente di una ripresa dei servizi, a scapito della manifattura che ha registrato diversi blocchi e rallentamenti della produzione a causa dei rincari energetici e delle materie prime. Il segno più, inoltre, non coinvolge i giovanissimi, ma tutte le fasce d’età superiori, in particolare tra i 25 e i 34 anni (+54mila) e tra i 35 e i 49 anni (+23mila).

Ma è guardando al dato annuale che si comprende quanto il mercato stia cambiando, in attesa di capire anche quali saranno gli effetti della guerra. Rispetto a marzo 2021, la crescita del numero di occupati è pari a 804mila unità, in oltre la metà dei casi a termine: 430mila contratti a tempo aggiuntivi, 312mila a tempo indeterminato e soli 62mila autonomi in più. Con i lavoratori a termine che ormai hanno superato la cifra record di 3,1 milioni. Circa il 18% del totale dei dipendenti, il valore più alto dal 1977, cioè da quando esistono le serie storiche. Anche se mancano ancora all’appello 215mila autonomi.

La ripresa c’è ed è fatta soprattutto di contratti a termine in un clima di grande incertezza. Un dato legato probabilmente al fatto che, al netto della componente demografica, la partecipazione al mercato del lavoro sia cresciuta soprattutto tra gli under 35. Che in un anno registrano un +10%, il doppio della media. Ma bisogna guardare anche alla componente femminile, che per la prima volta tocca un tasso di occupazione del 51,2%. Il più alto da quando esistono le serie storiche.

Segnali positivi che però potrebbero essere presto sgonfiati dalla crisi internazionale, con la guerra russa in Ucraina, entrata ormai nel terzo mese, che si fa sentire oggi molto più che a marzo sulla tenuta delle imprese.