Tra un messaggio in inglese per la conferenza dei conservatori in corso in Ungheria (ci torno tra poco) e l’immancabile video contro Laura Boldrini, il profilo twitter di Giorgia Meloni rilanciava ieri la seguente dichiarazione di Enrico Letta: «Le prossime elezioni saranno un confronto tra noi da una parte e le destre di Salvini e Meloni dall’altra parte, ma gli italiani devono sapere che se vinceranno loro governeranno per cinque anni, non ci vengano a chiedere poi di rimediare».
Di qui la facile replica della leader di Fratelli d’Italia: «Chiedere di rimediare a voi? Sono anni che governate grazie ai giochi di palazzo, nonostante il volere degli italiani di mandarvi a casa».
Replica facile proprio perché favorita dalla surreale dichiarazione di Letta. Se infatti si prende per buona l’affermazione del segretario del Pd, non si vede come si possa dare torto a Meloni. Per darle torto, occorrerebbe ricordare che l’Italia è una democrazia parlamentare, in cui i cittadini eleggono i propri rappresentanti nelle due Camere e sono questi a decidere, con il voto di fiducia, chi governa e chi no. Non sono «giochi di palazzo», è la Costituzione.
Di conseguenza, Mario Draghi non è un usurpatore, come non lo era il suo predecessore Giuseppe Conte (uno e due), come non lo erano Paolo Gentiloni, Matteo Renzi e lo stesso Letta, nonostante le ricorrenti campagne populiste e anticostituzionali su «premier» e «governo» mai eletti da nessuno. Nessun premier e nessun governo italiano è mai stato eletto direttamente dai cittadini, per la semplice ragione che non lo prevedono le regole del gioco.
Sfortunatamente la disinvolta retorica dei fautori del maggioritario ha accreditato e legittimato questa distorsione, che populisti di tutti i colori, a cominciare ovviamente dai grillini, hanno poi utilizzato per delegittimare l’intero sistema politico, con ottimi risultati.
L’affermazione di Letta, peraltro già più volte ripetuta, è dunque tanto più grave, oltre che contraddittoria. Se infatti Letta ritiene che debba partecipare al governo solo chi abbia vinto le elezioni, e non sia possibile nessun cambiamento nella composizione della maggioranza uscita dalle urne (ammesso che ne esca una), non si capisce cosa aspetti a far dimettere i suoi ministri, visto che le ultime elezioni il Partito democratico le ha indiscutibilmente perse. Se invece ritiene che in questo momento, per qualsiasi motivo, partecipare al governo sia suo dovere, non si capisce su quale base possa escludere che le stesse ragioni non imporranno analogo sacrificio anche all’indomani delle prossime elezioni.
Il gioco di sponda tra Letta e Meloni è sin troppo evidente. E tanto più inquietante nei giorni in cui la leader di Fratelli d’Italia, come si diceva, partecipa da remoto a quella Conservative Political Action Conference (CPAC) che raccoglie i sostenitori di Donald Trump e Viktor Orbán, cioè dell’uomo che ha tentato senza successo di rovesciare la democrazia nel suo paese e dell’uomo che un po’ alla volta c’è riuscito quasi completamente. Non per niente il raduno si è tenuto in Ungheria. Tra gli altri oratori, c’informa un articolo del Guardian, c’erano Zsolt Bayer, «un famigerato razzista ungherese che ha definito gli ebrei “escrementi puzzolenti”, ha definito i Rom “animali” e ha usato epiteti razzisti per descrivere i neri», nonché Jack Posobiec, «un blogger statunitense di estrema destra che ha usato simboli antisemiti e promosso la falsa teoria del complotto “Pizzagate” diffamando autorevoli democratici come pedofili». Ma a me, sinceramente, continua a sembrare assai più grave la presenza di Trump e Orbán.
Questo è il problema della nuova destra americana, europea e italiana. Il punto non è cosa Meloni e il suo partito pensino o dicano del nostro passato fascista (su cui pure le ambiguità non mancano), ma cosa intendano fare del nostro futuro, giacché non esitano a difendere l’uomo che in America ha tentato in tutti i modi di rovesciare l’esito del voto, da ultimo incitando ad assaltare fisicamente il congresso (per quelli che ancora insistono a definirla una pagliacciata, ricordo che è una pagliacciata in cui sono morte cinque persone).
Intendiamoci bene. È indiscutibile che Fratelli d’Italia, qualora vincesse le elezioni, avrebbe tutto il diritto di andare al governo, e nessuno lo mette in dubbio (non mi pare lo faccia nemmeno Boldrini nel video sopra citato, onestamente).
Dopodiché, vista la posta in gioco, sarebbe anche apprezzabile se il leader del Partito democratico evitasse di spianarle la strada, ripetendo lo stesso errore già commesso nel 2008 da Walter Veltroni con Silvio Berlusconi, con effetti che tutti dovrebbero ricordare, perché quella «nuova stagione» bipolarista si concluse con la crisi del 2011 e il rigidissimo inverno del governo Monti.
Se era a questo che si riferiva Letta quando ammoniva che stavolta i democratici non sarebbero disposti a «rimediare» ai danni fatti dai vincitori delle elezioni, suggerirei di non ricordare troppo simili meriti agli elettori, almeno in prossimità del voto. Se invece si riferiva ai danni fatti dal primo governo Conte, cui i democratici avrebbero rimediato con i governi successivi, sempre in stretta alleanza con Conte medesimo, suggerirei semplicemente di prendersi una pausa e riflettere meglio sul significato di quel che si dice. Per quanto espresso in modo confuso, c’è il rischio che qualcuno lo capisca.