Processo in direttaLa logorrea televisiva dei magistrati e il silenzio di chi subisce i loro errori

Nell’equilibrio dei palinsesti italiani si assiste allo strano fenomeno per cui i togati, che non sono persone qualsiasi, possono fare requisitorie televisive sul bene comune, e nel caso, dare la linea delle politiche giudiziarie. Forse si esagera nel dare loro spazio? Un rimedio ci sarebbe

di Kane Reinholdtsen, da Unsplash

Bisogna sgomberare il campo da un piccolo fraintendimento quando si discute di giustizia e del diritto dei magistrati di occupare giornali e tv facendo il bello e il cattivo tempo nel dibattito pubblico. E il fraintendimento sta in questo: nell’idea, completamente sbagliata, che in quel modo il magistrato eserciti un diritto di parola equiparabile a quello del cittadino comune.

Perché questa, pressappoco, è l’idea: che il magistrato sia uno qualunque, e che non concedergli quotidiani ettari di interviste e intere maratone televisive equivalga a imbavagliarlo privandolo di un diritto elementare. Ma a parte il fatto che a uno qualunque non si concede nemmeno un centimetro della ribalta invece garantita all’eloquio togato, c’è che il magistrato non è per niente uno qualunque, ma un funzionario cui la società (non Dio) attribuisce il potere di applicare la legge, non quello di dare la linea delle politiche giudiziarie né tanto meno quello di fare requisitorie televisive sul bene comune.

C’è poi il fatto che quel potere (il potere di applicare la legge) implica il dettaglio della vita altrui, che può essere travolta da un tratto di penna: il che dovrebbe consigliare maggior cautela nel lasciar libero il magistrato di tracciare l’indirizzo politico del Paese in argomento di giustizia, proprio come non accetteremmo la conferenza stampa di un colonnello che con la pistola alla cintola contesta le politiche di governo per il mantenimento dell’ordine pubblico. Il caso del manipolo di magistrati che chiama in adunata le televisioni e denuncia le malefatte della politica marcia ce lo ricordiamo bene; una junta di militari che allestisce in caserma un set analogo e reclama politiche dell’onestà invece non ce lo ricordiamo, e fino a prova contraria è un bene, ma sarebbe esattamente la stessa cosa. Con la differenza che il giorno dopo non intervisteremmo quei sediziosi per chiedergli come si fa a rimettere in riga la società corrotta.

Tutto questo per dire che ai magistrati dovrebbe essere impedito di parlare? No, per carità. Diciamo nella giusta misura: gli diamo lo spazio normalmente concesso ai destinatari dei loro provvedimenti sbagliati, i cittadini arrestati ingiustamente, quelli che hanno perso il lavoro, la famiglia, il patrimonio a causa degli errori e degli abusi del potere giudiziario. Sarebbe un’informazione magari un po’ meno scoppiettante, un po’ meno da far sognare il popolo dell’onestà, ma forse più civile, più giusta.