Pompe di caloreCosì i Paesi Bassi indicano la via della decarbonizzazione

Nella settimana del REPowerEU, e nel silenzio dei media italiani, il governo di Mark Rutte ha alzato l’asticella del suo piano per l’indipendenza dalle fonti fossili: dal 2026 scatterà l’obbligo di installare le pompe di calore al posto delle caldaie a gas, affiancato da sussidi per abbassare i costi a carico dei privati

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Se c’è una lezione che stiamo imparando dalla crisi energetica in atto, è che il miglior momento per imboccare la via della decarbonizzazione è adesso: il tempo per attendere è finito. Lo dimostra il caso dei Paesi Bassi, protagonisti di una notizia passata sottotraccia (soprattutto nel panorama informativo italiano) ma di enorme importanza. Il governo di Mark Rutte vuole introdurre l’obbligo, a partire dal 2026, di installare pompe di calore (anche ibride) o di connettersi alle reti di teleriscaldamento, vietando così tutte le forme di riscaldamento basate sui combustibili fossili. 

Fino al 2030, verranno stanziati 150 milioni di euro all’anno per supportare i proprietari di casa nella sostituzione della caldaia a gas con le pompe di calore. Al momento, inoltre, c’è già un sussidio del 30% per l’acquisto di questi sistemi di riscaldamento sostenibili. 

Nei Paesi Bassi, insomma, le caldaie standard diventeranno presto un lontano ricordo. A livello europeo, la data finale per l’immissione sul mercato di caldaie a combustibili fossili autonome è stata fissata al 2029. L’obiettivo 2026 dei Paesi Bassi è stato annunciato nella stessa settimana in cui l’esecutivo olandese ha posto la sua firma sull’accordo – sottoscritto anche da Germania, Danimarca e Belgio – per “trasformare” il Mare del Nord in una enorme centrale elettrica green da almeno 150 gw di capacità eolica offshore

La redenzione dei Paesi Bassi
«Le pompe di calore elettriche sono la soluzione più conveniente per ridurre emissioni e domanda energetica, migliorando al contempo la qualità dell’aria», si legge in una lettera, indirizzata alle istituzioni europee, redatta nel 2021 dalle principali società di distribuzione elettrica d’Europa. Le pompe di calore, che in Italia rientrano nel Superbonus 110% ma sono ancora scarsamente diffuse, non usano combustibili fossili: ricavano l’energia dall’ambiente (acqua, sottosuolo o aria esterna) e la rilasciano nelle abitazioni, sotto forma di calore ad alta temperatura, tramite uno scambiatore di calore. 

Esistono poi le pompe di calore ibride, ossia impianti di riscaldamento con più generatori di calore alimentati da fonti energetiche eterogenee (rinnovabili e non): anche queste soluzioni sono connesse a minori emissioni e bollette più snelle. In più, rientrano tra le opzioni al momento più adatte agli appartamenti dei condomini. 

Nonostante una bassa dipendenza dal gas russo (11% sul totale), i Paesi Bassi sono storicamente uno degli Stati europei che utilizza di più i combustibili fossili per uso domestico. Nel 2018, per esempio, il gas fossile ha ricoperto il 71% della domanda energetica per il riscaldamento residenziale. Da quell’anno, però, è avvenuto un notevole cambio di marcia. 

La novità delle pompe di calore obbligatorie entro il 2026 è la punta dell’iceberg delle politiche di decarbonizzazione attuate dai Paesi Bassi: dalla carbon tax crescente nel tempo sui settori dell’energia elettrica e dell’industria a un vasto programma di sussidi per le nuove tecnologie green, passando per gli incentivi dedicati alle auto elettriche e alla mobilità attiva: «Mi congratulo con i Paesi Bassi per aver sviluppato un ampio quadro politico con misure solide per guidare la riduzione delle emissioni in tutti i settori», aveva detto Fatih Birol, direttore esecutivo dell’Agenzia internazionale dell’energia (Iea), nel settembre 2020. 

Non dimentichiamo, inoltre, che stiamo parlando di uno degli Stati più avanzati del mondo in termini di “cultura ciclabile” (ci sono, letteralmente, più bici che abitanti) e meno motorizzati d’Europa, nonostante il numero di auto ogni 1.000 abitanti (519) sia aumentato del 7% nell’ultimo quinquennio.

Meno emissioni e risparmi sulle bollette: i vantaggi delle pompe di calore
Ma torniamo alle pompe di calore, spesso definite come la chiave per la riduzione delle emissioni di anidride carbonica provenienti dalle case e dagli uffici. «L’urgenza della sostenibilità è grande, dobbiamo aumentare il ritmo. È meglio per il portafoglio di tutti se utilizziamo meno gas naturale. Ecco perché il governo vuole che la pompa di calore diventi lo standard dal 2026, quando la caldaia del riscaldamento centralizzato dovrà essere sostituita», spiega Hugo de Jonge, ministro per l’Edilizia abitativa. Stando al comunicato stampa del governo olandese, l’uso di una pompa di calore ibrida «porterà a un risparmio medio del 60% rispetto al consumo di gas naturale». 

Per quanto riguarda le aree urbane olandesi con un’alta densità di popolazione, la fonte di riscaldamento principale potrebbe rivelarsi il teleriscaldamento, considerando che le pompe di calore necessitano di spazio per la realizzazione di un’unità esterna. Il teleriscaldamento consiste in una forma di riscaldamento a distanza attuata da uno scambiatore termico. Questo apparecchio, semplificando al massimo, prende l’energia da una centrale di produzione e la trasferisce nelle case tramite delle reti di tubazioni coibentate di acqua calda, surriscaldata o vapore. 

I vantaggi delle pompe di calore sono molteplici, sia ambientali sia economici. Ma anche a livello di performance. Non producono emissioni (CO2, PM10…), sono indipendenti dal gas e – soprattutto se abbinate a un impianto fotovoltaico – pesano pochissimo sulle bollette. Nella lettera (menzionata in precedenza) scritta dai 13 gruppi energetici europei, si legge inoltre che le pompe di calore elettriche sono tre volte più efficienti delle caldaie a gas. Rispetto alle fonti fossili, le pompe di calore ridurrebbero il consumo di energia degli edifici del 66% e le emissioni del 60%. 

E non è tutto. Come ha spiegato Vittorio Chiesa, direttore dell’Energy&Strategy Group, per rispettare gli obiettivi 2030 della Strategia energetica nazionale italiana «la diffusione delle pompe di calore ad alta temperatura dovrebbe riguardare il 23,5% degli edifici complessivi delle zone climatiche D e E»; questi interventi porterebbero «risparmi annui per le utenze energetiche di quasi 3,8 miliardi di euro». 

La bassa penetrazione delle pompe di calore nel mercato europeo 
Il principale problema delle pompe di calore è il costo iniziale, decisamente più elevato rispetto a quello – per esempio – di una caldaia a condensazione. Tuttavia, «di solito le aziende anticipano le spese, e quando viene chiesto di rateizzare non si tratta di cifre eccessive. Anzi, quei soldi in più da sborsare ogni mese rientrano comunque subito grazie all’abbassamento del costo delle bollette elettriche», dice Davide Sabbadin dell’European environmental bureau in un’intervista al magazine specializzato EconomiaCircolare

Le pompe di calore (classiche o ibride che siano) hanno una penetrazione nel mercato edilizio europeo che si aggira attorno al 10%: un numero piuttosto contenuto. Secondo l’eurodeputata di Verdi Eleonora Evi, il problema è anche che «in pochi producono le pompe di calore in Italia, e addirittura continuiamo a sostenere con i fondi pubblici del Recovery l’installazione di caldaie a gas, mentre Bruxelles ci dice che non si può più fare». Con RepowerEu, il nuovo piano per ridurre la nostra dipendenza dal gas e dal petrolio russi, l’Unione europea si è data l’obiettivo di raddoppiare la diffusione delle pompe di calore entro il 2029, ossia la data finale per l’immissione sul mercato di caldaie a combustibili fossili autonome. 

Nonostante i ritardi, il mercato appare in crescita: secondo un report dell’European heat pump association (Ehpa), nel 2021 la vendita delle pompe di calore è tornata a crescere in modo convincente dopo la battuta d’arresto del primo anno di pandemia (solo +7% rispetto al 2019). I dati di fine 2021 parlano di 2 milioni di unità vendute in un anno, pari a un incremento del 25%. 

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