Ogni maledetta strage La violenza americana è americana, ma stiamo attenti anche noi

Diciotto bambini uccisi in Texas. Solo quest’anno, negli Stati Uniti, sono state 212 le sparatorie con più di 4 vittime. La causa è la facilità di accesso alle armi, assieme alla cultura della frontiera di un paese ancora giovane e ingenuo. Ma attenzione, perché il linguaggio dell’odio è diffuso anche di qua dell’Atlantico

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Nel 2022 sono state 212 le stragi da armi da fuoco in America, secondo Gun Violence Archive, un’associazione non-profit che definisce sparatoria di massa gli incidenti con quattro o più persone ferite o uccise. I morti sono oltre 6300, solo quest’anno, con un conteggio esatto ancora impossibile perché ancora si contano le vittime, per ora sono 18 bambini, della strage alla scuola elementare in Texas di ieri.

Ogni volta, ogni maledetta volta, la domanda che tutti si pongono è per quale motivo le stragi a mano armata succedano con tale frequenza soltanto negli Stati Uniti. È colpa dell’America o della facilità di accesso alle armi, o forse di entrambi?

Come capita inesorabilmente dopo ogni strage, anche dopo l’ultimo massacro di bambini in Texas, negli Stati Uniti parte il solito rimbalzo di responsabilità tra chi si batte da anni per regole più severe sulla vendita di pistole e di fucili, fino a chiedere il divieto di vendita di armi da guerra, e chi spiega invece che le armi non c’entrano niente e che la colpa è soltanto degli squilibrati che sparano, magari dei videogiochi e di qualche altro disagio provocato dalla società contemporanea. Col risultato che, dopo il dolore e l’indignazione, non succede niente.

Eppure è autoevidente che le malattie mentali esistono in tutti i paesi del mondo, così come ovunque si gioca con i videogame violenti, ma poi si spara a raffica e con tale frequenza solo negli Stati Uniti. L’unica cosa che differenzia l’America dal resto del mondo è la facilità di accesso alle armi e la mancanza di controlli incrociati su chi le acquista: su questo c’è poco da discutere, malgrado cinquanta senatori repubblicani rifiutino esattamente di discuterne al Congresso, impedendo qualsiasi provvedimento federale.

Ci sono però anche altre specificità americane, culturali e politiche, a spiegare l’inesorabile violenza nichilista: questo tipo di stragi non sono un fatto isolato, ma quasi un codice di protesta, un rituale per denunciare la rabbia e l’alienazione sociale, una specie di antidoto all’aggregazione e, più recentemente, allo stile paranoico della vita digitale.

L’accesso alle armi facilita questi gesti estremi, anche se in America il possesso delle armi non è il prodotto caricaturale di una cultura bullista, ma è collegato al principio della libertà che è alla base degli Stati Uniti e a quello della difesa personale garantito dalla Costituzione.

Va ricordato ogni volta: l’America è una nazione giovane, priva delle astuzie europee e per questo più ingenua, e adolescenziale. Non conosce le alchimie del razionalismo europeo (che a sua volta genera altri tipi di mostri su scala più ampia) ed è un paese di grandi illusioni e di fermenti religiosi, di laicismo esasperato e di attesa dell’Armageddon.

L’America vive ancora la psicologia della frontiera, è violenta e perentoria, è capace di moralismi assoluti e di totale indecenza. Questa è la sua caratteristica fin dalla fondazione e con essa convive da oltre duecento anni.
Un’epica fanciullesca che è allo stesso modo la grandezza e la tragedia dell’America.

Le armi e la cultura americana sono una traiettoria specifica degli Stati Uniti che solo gli americani potranno modificare, ma in realtà tutta la società contemporanea di qua e di là dell’Atlantico è permeata da un comune linguaggio d’odio espresso dai leader politici e dai propagandisti nelle istituzioni, nei talk show, sui social. Sarebbe il caso di rendersene conto e di fermarsi in tempo.

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